Il coronavirus impoverisce anche l’educazione

Le difficoltà materiali, nella didattica a distanza e il mancato accesso alle attività extrascolastiche motorie e ricreative per molti bambini e ragazzi si traduce nel rischio di rimanere indietro. L’isolamento forzato a causa dell’emergenza Coronavirus rischia di far perdere motivazione e competenze scolastiche, e in alcuni casi può portare all’abbandono della scuola.

Questo l’allarme di Save the Children, che diffonde un’indagine realizzata per l’Organizzazione dall’istituto di ricerca 40 dB su un campione di oltre 1000 bambini e ragazzi tra gli 8 e i 17 anni e i loro genitori, incluso un 39,9% del totale in condizioni di fragilità socio-economica anche a causa della Crisi Covid-19.

Difficoltà a fare i compiti, e la paura di perdere l’anno

Secondo il rapporto circa 1 minore su 5 incontra maggiori difficoltà a fare i compiti rispetto al passato, e tra i bambini tra gli 8 e gli 11 anni quasi 1 su 10 non segue mai le lezioni a distanza, o lo fa meno di una volta a settimana.

Circa 1 genitore su 20 ha paura che i figli debbano ripetere l’anno, o che possano lasciare la scuola. Tassi che tra le famiglie in maggiori difficoltà economica passano rispettivamente a quasi 1 su 10 e 1 su 12.

E sei genitori su dieci (60,3%) ritengono che i propri figli avranno bisogno di supporto quando torneranno a scuola, considerata la perdita di apprendimento degli ultimi mesi.

Il circolo vizioso della povertà

Una povertà educativa alimentata dalla crisi economica che ha impoverito ulteriormente le famiglie. Quasi 1 genitore su 7 (14,8%), tra quelli con una situazione socio-economica più fragile, ha perso il lavoro definitivamente a causa dell’emergenza Covid-19, e oltre la metà lo ha perso temporaneamente. Più di 6 su 10 invece stanno facendo i conti con una riduzione temporanea dello stipendio, al punto che rispetto a prima del lockdown la percentuale di nuclei familiari in condizione di vulnerabilità socio-economica che beneficia di aiuti statali è quasi raddoppiata, passando dal 18,6% al 32,3%, riporta Italpress.

Agire subito per non privare i bambini del loro futuro

Si tratta di genitori che nel 44% dei casi sono preoccupati di non poter tornare al lavoro o cercarne uno perché i figli non vanno a scuola e non saprebbero a chi lasciarli.

“Non possiamo permettere che l’epidemia di Covid-19 in pochi mesi tolga ai bambini e agli adolescenti in Italia opportunità di crescita e sviluppo – commenta Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia -. Dobbiamo agire subito per non privarli del loro futuro. L’educazione, formale e non, rappresenta per i nostri bambini l’ancora di salvezza per avere opportunità nel presente, ma soprattutto per garantire la libertà di scegliere il proprio futuro, specie nei contesti più svantaggiati”.

 

Fwa, una tecnologia cruciale per la richiesta di connettività al tempo del Covid-19

L’Italia si trova in una situazione senza precedenti, che sta mettendo alla prova non solo cittadini e Istituzioni, ma anche la capacità degli operatori Tlc di far fronte alla crescente richiesta di connettività. L’emergenza coronavirus, e il conseguente ricorso allo smart working di tantissimi lavoratori, sta determinando infatti un incremento della domanda stimata almeno del 50% in più rispetto all’abituale traffico dati. L’Fwa, il Fixed wireless access, sta dando prova di grande utilità e “resilienza”, poiché si basa su una tecnologia che sfrutta i collegamenti via etere. In questo modo, “consente di fornire servizi di connettività ad altissime prestazioni anche nelle aree bianche – spiega Enrico Boccardo, presidente della Coalizione per il Fixed wireless access (Cfwa) – ovvero in quelle aree nelle quali sono assenti altre infrastrutture a banda larga”.

Un servizio indispensabile per smart working e didattica a distanza

La Coalizione per il Fixed wireless access riunisce oltre 60 imprese ad azionariato prevalentemente italiano che condividono l’obiettivo di portare la connettività internet in tutta Italia, comprese le zone più impervie e difficili da raggiungere, le cosiddette aree bianche. Le aree del Paese dove gli operatori tradizionali non hanno investito.

Secondo Boccardo, l’Fwa rappresenta perciò “un servizio indispensabile per i cittadini, per le imprese e per la Pubblica amministrazione, in particolare in questo periodo in cui cresce il ricorso allo smart working, alla didattica a distanza e ai tanti altri servizi informatici e telematici”.

Imprese pronte a potenziare ulteriormente le infrastrutture

Grazie all’Fwa la possibilità di portare connettività internet alle persone e alle aziende e in tempi pressoché immediati in tutto il Paese rappresenta “un elemento fondamentale, strategico e che va sfruttato al meglio – continua il presidente Cfwa -. Come imprese di pubblica utilità siamo pronti a potenziare ulteriormente le nostre infrastrutture e a garantire sempre, specialmente in questo momento critico, il funzionamento delle reti, l’operatività e la continuità dei servizi”.

Necessario intervenire con investimenti privati una volta superata l’emergenza

Per facilitare questo compito, riporta Askanews, le imprese aderenti a Cfwa hanno però bisogno di “una maggiore e duratura disponibilità di frequenze per l’accesso, e di una riduzione dei canoni per l’utilizzo delle frequenze di backbone – aggiunge Boccardo – ove queste siano utilizzate per raggiungere, grazie a investimenti privati, aree nelle quali le infrastrutture di Tlc sono carenti. Spero che il governo possa intervenire in questo senso – sottolinea il presidente Cfwa – anche in considerazione del fatto che una volta superata questa emergenza si sarà radicato nel Paese un maggiore utilizzo delle reti di telecomunicazioni nei tanti ambiti della vita di ognuno”.

Informazione fra vecchi e nuovi media: come siamo messi?

Tradizionale Tg in televisione, giornale cartaceo, web, social media? Quali sono le fonti di informazione principalmente utilizzate dagli italiani? Beh, è sotto gli occhi di tutti come l’informazione sia, a livello globale, altamente polarizzata. Ma alla domanda ha tentato di rispondere il 16° Rapporto sulla comunicazione del Censis, con un’indagine approfondita delle modalità utilizzate dai nostri connazionali per informarsi. Dall’indagine si scopre che le prime cinque fonti d’informazione utilizzate dagli italiani includono strumenti tradizionali come telegiornali, reti televisive all news e quotidiani cartacei, insieme all’innovazione fornita dalla piattaforma social più diffusa, Facebook, e dai motori di ricerca su internet, come Google. “I telegiornali mantengono salda la leadership: sono i programmi a cui gli italiani ricorrono maggiormente per informarsi (59,1%). L’apprezzamento è generalizzato, ma aumenta con l’età: dal 40,4% dei giovanissimi al 72,9% degli over 65. Elevato è anche il favore accordato alle tv dedicate all’informazione a ciclo continuo, 24 ore su 24, utilizzate per informarsi dal 19,6%” spiega il rapporto. Dopo il telegiornale, però, il secondo strumento più utilizzato per informarsi è Facebook (scelto dal 31,4% degli italiani) seguito dai motori di ricerca con il 20,7%. I giornali cartacei, con il loro 17,5%, guadagnano oltre punti percentuali rispetto all’analogo rapporto di due anni fa.

La politica l’argomento più “caldo”

Dai dati sopraelencati si evince che gli italiani costruiscono un mix personalizzato delle fonti, online e offline. Ma quali sono gli argomenti preferiti e coinvolgenti? Senza dubbio quelli legati alla politica nazionale, che conquistano il 42,4% della popolazione: le vicende di governi e partiti politici rappresentano in assoluto il genere di notizie più seguito. La politica stacca di 10 punti percentuali le voci classiche dei palinsesti informativi, come lo sport (29,4%) o la cronaca nera (26,1%) e rosa (18,2%). Ancor più basso l’interesse dimostrato per  le notizie economiche ((15,3%) e di politica estera (10,5%).

Ai “grandi” mancano le competenze digitali

Anche se Internet ormai fa parte della vita quotidiana, il 25,0% degli italiani ammette di non possedere le competenze necessarie per muoversi agevolmente nel mondo digitale. Sono maggiormente digitalizzati coloro che hanno tra i 30 e i 44 anni (8,0%) e tra i più istruiti (11,4%), alla pari con i più giovani (11,5%): sono questi i soggetti meglio attrezzati per vivere nell’ambiente digitale. Mentre il 57,3% delle persone anziane confessa un totale deficit di competenze.

Italia terza in Europa per cyber sicurezza

Tra maggio 2018 e gennaio 2019 in Italia sono stati riferiti 610 casi di violazione dati. Si tratta del terzo numero più basso in Europa, una posizione che colloca l’Italia al terzo posto tra le nazioni più sicure in tema di cyber security. Navex Global, la società di software e servizi di etica e conformità, ha reso noti i dati del report sulla privacy e la conformità GDPR. Oltre a determinare il livello di cybersecurity del nostro Paese, il report ha evidenziato come quasi 7 su 10 compliance officers europee si preoccupino della privacy dei dati, e il 68% consideri la sicurezza informatica un argomento fondamentale in materia di etica e conformità.

Più di un quarto delle organizzazioni ha un programma di conformità incompleto

Nonostante questo, più di un quarto (27%) delle organizzazioni ha un programma di conformità incompleto, e non considera la privacy dei dati una delle principali preoccupazioni. Quasi la metà (47%) delle organizzazioni ammette poi che la scarsità delle risorse è il problema più grande. La colpa è da attribuirsi alla mancanza di formazione in materia di data privacy. Nelle aziende con un programma di conformità reattiva, solo il 53% dei senior manager e dei non manager ha ricevuto training sulla data privacy, e solo il 41% sulla cyber security.

Costi per i data breach, nelle piccole imprese -50%, nelle grandi +341%

Quando invece si tratta di organizzazioni con programmi di conformità avanzati, il 22% dei non-manager non riceve alcuna formazione sulla privacy dei dati o sulla sicurezza informatica. Il che significa che quasi un quarto del personale in prima linea non riceve alcuna guida.

Di fatto però i costi per i data breach delle piccole imprese sono diminuiti di oltre il 50% nel 2019, mentre per le medie imprese i costi di violazione dei dati sono aumentati del 327%. E per le grandi imprese hanno registrato un aumento del 341%.

“La vera posta in gioco è proteggere le persone”

Segnali promettenti arrivano dalle organizzazioni che hanno implementato un programma di gestione degli incidenti, con il 37% che afferma quanto questo abbia contribuito a costruire una cultura aziendale basata sulla fiducia. Il 64% delle aziende ha affermato poi che disporre di un codice di condotta è l’elemento di maggiore effetto sulla prevenzione di violazioni etiche. E il 60% possiede un sistema di segnalazione interno, ad esempio, una hotline di gestione degli incidenti per identificare le violazioni della politica aziendale.

“I programmi di comunicazione interna e di formazione sono strumenti essenziali per sostenere la data governance – commenta Jessica Wilburn, Data Privacy Officer e Senior Counsel presso Navex Globa -. È importante tradurre la privacy in ciò che significa per i diversi reparti, team e ruoli, ma è ancora più importante quando si parla di quale è la vera posta in gioco: proteggere le persone.”

 

Neolaureati, gli italiani tra i meno pagati d’Europa

I neolaureati italiani sono tra i meno pagati d’Europa, e si collocano al quattordicesimo posto della classifica europea, dietro Paesi come Irlanda e Slovenia. I neolaureati italiani infatti possono aspirare a un primo stipendio annuo di 28.827 euro, contro i 36.809 euro dei coetanei francesi o i 49.341 euro di quello tedeschi, fino ad arrivare ai 73.370 euro dei neolaureati svizzeri, i più pagati d’Europa. Questo è quanto emerge dall’ultimo Starting Salaries Report di Willis Towers Watson, che analizza il valore del primo stipendio e le retribuzioni offerte ai neolaureati in 31 paesi di tutto il mondo.

In Italia non c’è differenza tra un diplomato, un laureato e un dottorando

Il report evidenzia quindi notevoli diseguaglianze tra l’Italia e gli altri Paesi d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra valore della retribuzione e livello di scolarizzazione. Ma in Italia tra un diplomato e un laureato la differenza non è rilevante dal punto di vista retributivo. Chi ha scelto di conseguire una laurea può aspirare a guadagnare infatti solo il 12% in più rispetto a un neodiplomato, e lo stesso divario (13%) si riscontra anche tra chi ha conseguito una laurea e chi invece un dottorato di ricerca. Molto diversa la situazione in Germania, dove una laurea, per chi si affaccia al mondo del lavoro assicura una retribuzione superiore del 32% rispetto a un diploma. O in Francia, dove per un dottorato viene riconosciuto un salario superiore del 43% rispetto alla laurea, riporta Askanews.

Le prospettive di crescita a breve termine non sono incoraggianti

“Le prospettive remunerative dei neolaureati in Italia si confermano non molto entusiasmanti – ha commentato Rodolfo Monni, responsabile indagini retributive di Willis Towers Watson Italia -. Rispetto agli altri Paesi europei con un’economia comparabile, come Francia e Germania, la laurea in Italia non garantisce un primo stipendio sostanzialmente superiore a quello offerto da un diploma”. Questo vale anche per le prospettive di crescita a breve termine, che “non sono incoraggianti”. ha aggiunto Monni.

Dopo due anni l’aumento della retribuzione aumenta di circa il 10%

In pratica, dopo due anni di lavoro un laureato italiano vede aumentare la sua retribuzione fissa di circa il 10%, meno la metà di Francia e Germania, per cui l’aumento si attesta sul  22%, e di Spagna e Regno Unito, che sale al 25%. “Una progressione che un neolaureato italiano riesce a raggiungere dopo 4 o 5 anni dall’ingresso nel mondo del lavoro”, ha sottolineato ancora Rodolfo Monni.

Poco significative poi anche le differenze tra le varie funzioni aziendali. I ruoli più remunerativi per i neolaureati si dimostrano quelli commerciali, con uno stipendio massimo annuale di 31.988 euro, mentre i lavoratori meno pagati sono quelli impiegati in ambito manifatturiero, dove la retribuzione si attesta sui 30.996 euro all’anno.

Italia, paese dei distributori automatici. Ne ha uno ogni 73 abitanti

Alla fine del 2018 negli uffici e nei luoghi pubblici italiani è stato raggiunto il numero di 822.175 vending machine, +1,4% rispetto all’anno precedente e pari a oltre 12mila macchine in più. Numeri che fanno dell’Italia il Paese europeo col maggior numero di distributori automatici installati, uno ogni 73 abitanti contro una media Ue di uno a 190. Al secondo posto la Francia, che ne conta circa 600 mila, e al terzo la Germania, con poco più di 550 mila.

Secondo l’ultimo studio di Confida, l’associazione italiana della distribuzione automatica, realizzato in collaborazione con Accenture, i distributori si trovano soprattutto nelle aziende private, il 34% nell’industria e il 17% nel commercio, e quasi il 20% nel pubblico, con scuola e università che rappresentano l’11% del totale, la sanità il 9%, e il 3% nei luoghi di transito (stazioni ferroviarie e della metropolitana).

Giro d’affari di 4 miliardi di euro per oltre 12 miliardi di consumazioni

“Nel 2018 il giro d’affari ha sfiorato i 4 miliardi di euro con oltre 12 miliardi di consumazioni complessive, tra cibi, bevande e caffè porzionato, per una crescita del 4,7% rispetto al 2017”, spiega Massimo Trapletti, presidente di Confida.

Nell’ultimo anno il fatturato legato ai soli distributori automatici è cresciuto del 3%, raggiungendo quasi i 2 miliardi di euro (1,92) con le consumazioni in aumento dello 0,8% (circa 5 miliardi). In media lo scorso anno ogni italiano ha effettuato 83 acquisti alle vending machine, quasi 2 a settimana.

Caffè e acqua i più gettonati

Delle 991 milioni bevande vendute ai distributori automatici (+0,3% rispetto al 2017) il caffè rappresenta il prodotto più consumato, con l’86% dei volumi del caldo, che corrispondono a 2,8 miliardi di consumazioni (+1,68%). L’acqua minerale naturale rappresenta invece il 77% del segmento (+0,43), ed è significativo l’incremento del tè freddo (+4%) con 60,3 milioni di consumazioni, degli sport drink con 9,6 milioni di confezioni (+7%) e degli energy drink con 1,8 milioni di consumazioni (+4,5%). Ma attraverso i distributori automatici non si acquistano più solo snack e bevande per una pausa veloce. I pasti pronti crescono infatti del 3,35%. Con al primo posto le pizze (70% dei volumi), seguite da insalate (18%) e pasti da scaldare (12%).

Anche per la distribuzione automatica il futuro è bio

“Per soddisfare i tanti gusti dei clienti – continua Trapletti – gli assortimenti proposti si stanno ampliando sempre più, ed è ormai un dato di fatto che le vending machine sono diventate per le persone un servizio imprescindibile durante le ore di lavoro o durante i loro spostamenti quotidiani”.

I dati di Confida evidenziano poi come il consumatore stia orientando progressivamente le scelte verso prodotti bio, con meno zuccheri, a km 0 e freschi. Gradimento crescente quindi per le bevande bio, a basso contenuto di zuccheri o vegane, ma anche per gli snack biologici, e gluten free, in aumento del 15% a volumi.

13 Cibo e salute, la tecnologia aiuterà a mangiare meglio

Una buona alimentazione è fondamentale per la prevenzione delle malattie Più salutismo, quindi, e meno gourmet: in un Paese come l’Italia, in cui la popolazione sta invecchiando rapidamente, cresce l’attenzione tramite un’alimentazione più corretta. Per il 66,7% degli italiani infatti nel futuro l’attenzione delle persone sarà rivolta sempre di più all’impatto dei cibi sulla salute, e meno al gusto. Il salutismo sta diventando la frontiera più avanzata dello stile alimentare italiano, almeno, secondo i risultati della ricerca del Censis “Mangiare smart per stare in salute. Il rapporto tra cibo, scienza e tecnologia visto dagli italiani”.

Il valore della tracciabilità e l’etichettatura dei prodotti

Secondo i risultati dello studio tra i criteri che guidano l’acquisto dei prodotti alimentari, sembra che il 94,4% degli italiani oggi ritenga “molto” o “abbastanza” importante poter disporre di informazioni complete sugli ingredienti, la provenienza e altri aspetti che consentano di definire la “biografia” degli alimenti. Per i consumatori la tracciabilità e l’etichettatura hanno un grande valore, perché mettono nelle condizioni di distinguere con appropriatezza quello che fa bene da quello che fa male.

La scienza non è una minaccia, ma una risorsa per disporre di cibo salutare

Per il 77,3% degli italiani, inoltre, la scienza e le nuove tecnologie sono una risorsa per la sicurezza, la qualità e l’impatto positivo sulla salute dei cibi. Il giudizio favorevole resta alto per ogni livello di scolarità, lo pensa infatti il 72,8% di chi ha la licenza media, il 77,3% dei diplomati, e il 79,2% dei laureati. Scienza e tecnologie per gli italiani non rappresentano perciò una minaccia, ma una risorsa essenziale per disporre di cibo salutare.

I media dovrebbero guidare nella scelta di alimenti che riducono i rischi di cronicità

Il 71,4% degli italiani, poi, riporta Askanews, quando tv, radio, giornali e testate web si occupano di alimentazione dovrebbero concentrarsi sui cibi che fanno bene e aiutano a vivere più a lungo e in buona salute. Di questo ne sono più convinti soprattutto gli anziani (il 76,8%), ma la percentuale è alta anche tra i millennial (il 63,5%). Dai media ci si attende quindi che aiutino le persone a scegliere i cibi salutari, quelli che riducono i rischi di cronicità e di non autosufficienza, confutando fake news e falsi miti sugli alimenti. Per il 61,9% degli italiani sui media infatti circolano ancora troppe notizie sbagliate o parziali sul cibo.

 

La mobilità elettrica raddoppia in Italia

Dalle circa 5.000 unità del 2017 alle circa 10.000 del 2018, nell’ultimo anno in Italia le vendite dei veicoli elettrici e ibridi sono raddoppiate: una crescita che fa ben sperare per il futuro. E come rileva il Rapporto di Fondazione Symbola in collaborazione con Enel X, negli ultimi due anni si è assistito anche a un maggior interesse per il tema dell’infrastrutturazione della rete di ricarica.

“La mobilità elettrica avrà un ruolo fondamentale per la progressiva decarbonizzazione della nostra economia. I benefici non sono solamente ambientali – spiega Francesco Starace, AD e Direttore Generale di Enel – la mobilità elettrica può rappresentare un’opportunità di sviluppo da cogliere per l’intero Paese”.

Nel mondo sono 5,3 milioni i veicoli elettrici per passeggeri o merci

Anche nel mondo la diffusione di auto elettriche cresce rapidamente. Attualmente ci sono 5,3 milioni di veicoli elettrici per passeggeri o merci (1,5 milioni nel 2016), di cui 2 milioni in Cina (+150% nel 2018 rispetto al 2017 ), e 1 milione negli Stati Uniti (+100% nell’ultimo anno). In Europa il primato è della Norvegia, dove circolano 250.000 auto elettriche a fronte di soli 5 milioni di abitanti. La crescita del mercato ha interessato però anche il settore della mobilità pubblica. Oggi circa il 20% delle flotte di bus a livello globale sono elettriche, con le città cinesi leader di questo trend, che rappresentano il 99% dello stock mondiale, riporta Askanews.

“Dotare il Paese di una rete di ricarica capillare”

Si stima che a oggi siano presenti sul territorio oltre 8.300 punti di ricarica pubblici. E a fine marzo è stato raggiunto un traguardo importante, con circa 5.700 nuovi punti di ricarica installati in tutta Italia. “Ci siamo posti l’obiettivo di dotare il Paese di una rete di ricarica capillare che permetta a chi guida un veicolo elettrico di percorrere l’Italia dalla Valle D’Aosta alla Sicilia senza paura di rimanere a piedi – afferma Francesco Venturini, Responsabile di Enel X -. Il nostro obiettivo è quello di installare circa 28.000 punti di ricarica al 2022, con un investimento complessivo fino a 300 milioni di euro”.

Nei prossimi 5-10 anni investimenti globali per circa 300 miliardi di dollari

L’ultimo Salone dell’automobile di Ginevra ha reso l’idea della quantità di modelli e soluzioni di mobilità sostenibile a zero emissioni. Secondo una ricerca di Reuters, evidenzia lo studio, gli investimenti a livello globale annunciati dalle case automobilistiche sui veicoli elettrici nei prossimi 5-10 anni ammonteranno a circa 300 miliardi di dollari. Quasi nessuna casa automobilistica manca all’appello, tutti i maggiori player mondiali stanno investendo nell’elettrico.

Ricerca vocale e dati biometrici, i trend del viaggiatore italiano

Oltre a utilizzare con sempre maggior frequenza tecnologie innovative per individuare possibili destinazioni, hotel e voli, il 74% dei viaggiatori italiani, ben oltre la metà, sostiene di essere disponibile anche a offrire i propri dati biometrici, se questo potesse ridurre i tempi di attesa durante i controlli di sicurezza negli aeroporti. Non solo controllo delle impronte digitali, ma anche lettura della retina dell’occhio e riconoscimento facciale per completare il processo di imbarco senza più dover presentare carte o passaporti.

E se il 36% dei turisti italiani ricerca e prenota i propri viaggi interamente sul proprio smartphone, il 49% di loro si affida allo strumento di ricerca vocale per trovare le proprie soluzioni di viaggio.

Prenotare con lo smartphone ed evitare gli hotel col WiFi a pagamento

Si tratta di alcuni dati provenienti dalla Ricerca Globale Travelport sul Viaggiatore Digitale 2018, condotta da Toluna Research nell’agosto 2018 in 25 Paesi di tutto il mondo, su oltre 16.200 viaggiatori di cui 500 italiani.

Sempre secondo la Ricerca due terzi (64%) dei viaggiatori, poi, evita gli hotel che fanno ancora pagare il WiFi. Ma i viaggiatori italiani intervistati hanno anche dimostrano di essere piuttosto dipendenti dai loro cellulari per gestire le prenotazioni. Uno su quattro (37%) afferma addirittura che non poter accedere alla propria prenotazione sui dispositivi mobili 24 ore su 24 sia doloroso e frustrante.

Strumenti e servizi digitali per ogni fase del viaggio

“I risultati della Ricerca Globale Travelport sul Viaggiatore Digitale 2018 evidenziano la crescente popolarità in Italia di strumenti e servizi digitali per ogni fase del viaggio, dalla ricerca fino alla fine del viaggio – spiega Sandro Gargiulo, Country Manager di Travelport per Italia e Malta . Questa richiesta di strumenti digitali continuerà solo perché le persone cercano modi sempre più convenienti per effettuare transazioni, non solo per quanto riguarda i viaggi, ma in ogni parte della loro vita”

“I viaggiatori di oggi sono già entusiasti delle tecnologie future”

Il settore globale dei viaggi e hospitality vale 7,6 miliardi di dollari, e necessita di essere costantemente all’avanguardia nel fornire servizi dinamici, adeguati al contesto e tempestivi nei confronti dei clienti. “Tutti possiamo vedere come la tecnologia sta cambiando quasi ogni aspetto della nostra vita – aggiunge Gordon Wilson, Presidente e CEO di Travelport -. È bello vedere la conferma che i viaggiatori di oggi sono già così entusiasti delle tecnologie future quanto lo siamo noi che stiamo lavorando per crearle”.

Buoni propositi per il 2019. Come iniziare bene con il decluttering

Anno nuovo: è il momento dei buoni propositi. Come ad esempio quello di fare ordine e organizzarsi meglio, ovvero, fare un po’ di decluttering. Che significa appunto mettere in ordine e fare spazio eliminando il superfluo. L’esigenza di riordinare di spazi e tempi, però, a volte viene disattesa, e ci si trova con la sensazione di essere ancora più sopraffatti. Prima di tutto quindi è necessario riordinare le idee. E per passare dalle intenzioni ai fatti Sabrina Toscani, esperta di organizzazione, fondatrice di Organizzare Italia, e autrice del libro Facciamo Ordine, offre qualche consiglio a chi intende dedicarsi a un decluttering efficace.

Sistemare la casa e riporre gli oggetti “stagionali”

Il consiglio di Toscani è quello di “scrivere su un foglio quali parti della casa si ritiene debbano essere riordinate, magari facendo uno schizzo della pianta della casa e indicando a grandi linee con vari colori le zone a seconda delle criticità”, suggerisce Toscani. Ad esempio, rosso per gli interventi più urgenti, arancione per le aree che possono aspettare, e verde quelle che vanno bene così. Dopo le Feste, poi, c’è una quantità di nuovi oggetti, tra regali e addobbi, che andranno riordinati. Per gli oggetti stagionali, Toscani propone di mettere in un’unica area tutte le decorazioni natalizie, buttare ciò che non funziona più o è rotto, riporre in scatole resistenti e mettere l’etichetta, in modo che sia facile ritrovare tutto e velocemente.

Consigli di smaltimento: “Tenere solo ciò che piace ed è utile”

Per evitare che in ripostigli e armadi regni il caos, riporta Adnkronos, la prima regola, valida in ogni periodo dell’anno, è quella di non sovraffollarli. “Anche il più perfetto sistema organizzativo può essere messo in crisi dalle troppe cose – prosegue Toscani -. Tenere solo ciò che piace ed è utile consente di creare più spazio per ciò che ci fa star bene “. Il sistema migliore quindi è passare in rassegna oggetti e vestiti, e per ciascuno prendere una decisione: se ci piace ed è utile, tenerlo, se non ci piace o non serve, ma è funzionale, regalarlo. Se invece è rotto o vecchio, buttarlo.

Dieta sana e cucina organizzata

Tra i buoni propositi, dopo le Feste, spesso rientra anche quello di una dieta sana. E per programmare una dieta sana si passa da una dispensa ben organizzata. “L’organizzazione della cucina e della dispensa rendono più facile raggiungere questo obiettivo e sono un valido supporto per andare avanti in questo proposito – consiglia Toscani -. Per cui dovremo creare menu salutari e completi, adeguare la lista della spesa a ciò che abbiamo scelto di mangiare e la dispensa dovrebbe contenere solo ciò che abbiamo selezionato per la nostra sana alimentazione”. Basta ripetere per qualche settimana questo procedimento per garantirsi pasti salutari, niente sprechi, idee chiare ai fornelli. E un po’ di tempo libero in più.