Viaggi, il mercato italiano vola con l’online

Dopo mesi davvero difficili per il settore, il 2022 è stato l’anno della riscossa per il turismo, tornato velocemente quasi ai valori prepandemia. Per quanto concerne la componente offline il divario da colmare è ancora significativo (da -45% a -16% rispetto al 2019 per i differenti comparti), invece per l’eCommerce dei Viaggi il sorpasso sul 2019, in alcuni casi, è già avvenuto. Nell’ospitalità i valori del 2022 per l’online superano, infatti, quelli del pre-pandemia (16,4 contro i 14,6 miliardi del 2019) mentre nei trasporti vi sono ormai vicini (11,2 miliardi rispetto a i 12 di tre anni fa). Anche il turismo organizzato ha ripreso terreno: il mercato del tour operating nel 2022 vale il 70% di quanto fatturava nel 2019 e il comparto delle agenzie di viaggio si attesta al -19% sul pre-pandemia. Rispetto al 2021 la ripartenza è evidente: +106% per il tour operating e +189% per le agenzie di viaggio. Sono alcuni dei dati emersi dalla nona edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano.

Il peso dell’eCommerce nei vari comparti del travel

“Il 2022 si è confermato come l’anno della ripresa e la crisi che il Travel si è trovato ad affrontare negli ultimi anni, sebbene particolarmente violenta, sembra volgere al termine. Dopo un primo trimestre ancora incerto, abbiamo rilevato un’inversione di rotta più decisa, trainata dall’eCommerce, che a partire dalla scorsa estate si è fatta sempre più consistente”, dichiara Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo. “Il digitale è stato capace di riportare alcuni comparti di questa industria ai valori pre-pandemia, confermandosi un’asse portante e ricordandoci come la digitalizzazione del journey resti una priorità trasversale alle aziende di tutta la filiera. Nell’ospitalità l’eCommerce incide, infatti, per il 51% sulle transazioni, superando nettamente il 44% del 2019, ma il dato più sorprendente riguarda i trasporti, dove l’incidenza è salita al 68%, partendo da un 55% nel 2019. Inoltre, le agenzie di viaggio stanno investendo nella digitalizzazione della relazione e anche le strutture ricettive si stanno adoperando in questo senso”.

Il canale digitale piace soprattutto per “ispirazione”

Guardando al comportamento dei turisti italiani, grazie a un’indagine realizzata in collaborazione con BVA Doxa, emerge con evidenza la crescente digitalizzazione del journey anche lato domanda. Il canale online prevale per l’ispirazione: il 56% dei viaggiatori dichiara di aver usato solo canali online (motori di ricerca in oltre un caso su due, seguiti da siti di recensione, aggregatori e comparatori di alloggi e trasporti e, infine, sito dei fornitori dell’alloggio).
Anche in fase di prenotazione l’online la fa da padrone: per l’alloggio la quota di chi ha utilizzato esclusivamente canali online raggiunge il 59%, mentre nei trasporti il 63%. Inoltre, il 22% dei viaggiatori si rivolge all’agenzia o consulente di viaggio per acquisire informazioni o prenotare la vacanza. 
Continua a crescere anche il numero di viaggiatori che ha acquistato tramite eCommerce prodotti legati alla località visitata e che rappresenta il 33% del totale, contro il 12% del 2019 e il 9% del 2018. Anche l’offerta si sta adeguando alla crescente richiesta di esperienze neverending, ossia esperienze turistiche estese nel tempo e nello spazio: il 12% delle strutture ricettive offre ai propri clienti la possibilità di acquistare prodotti della destinazione (enogastronomici, di artigianato…) tramite eCommerce. 

In Italia oggi il pieno costa di più 

Se nel 2022 gli automobilisti italiani sono stati tra quelli in Europa che hanno speso meno per il carburante, l’inizio del 2023 ci ha proiettato ai primi posti della classifica europea: oggi siamo la nazione dove accise e imposte pesano di più sul prezzo finale. Nel 2022 infatti la spesa media sostenuta dall’automobilista italiano per la benzina è stata pari a 1.008 euro, valore che ha fatto guadagnare al nostro Paese il settimo posto tra quelli analizzati da Facile.it. Facile.it ha analizzato il prezzo dei carburanti in 12 nazioni UE, considerando il prezzo riportato dalla Commissione europea e ipotizzando il consumo di un’autovettura utilitaria con una percorrenza di 10.000 km l’anno. 

Nel 2022 il prezzo del pieno era meno salato

Nel 2022 in Danimarca, ad esempio, gli automobilisti hanno speso il 15% in più rispetto a noi (1.160 euro), in Grecia il 13% (1.140 euro) e in Germania il 6% (1.069 euro). Se la Francia ha fatto registrare valori simili all’Italia (1.005 euro), più fortunati gli automobilisti austriaci, per i quali la spesa è stata del -5% rispetto a quella sostenuta dagli italiani (960 euro), e ancor più quelli sloveni (-18%, 830 euro). Quanto al prezzo del diesel, la spesa sostenuta nel 2022 dagli italiani è stata pari a 1.009 euro. Fanno meglio di noi solo Portogallo (-1%, 998 euro), Spagna (-1%, 997 euro) e Slovenia (-10%, 909 euro). Maglia nera per la Svezia, dove gli automobilisti hanno speso 1.275 euro (+21% rispetto all’Italia), e la Danimarca (1.091 euro, +8%).

Nel 2023 salgono i prezzi per gli automobilisti italiani

Prendendo in considerazione il prezzo dei carburanti rilevato nella prima settimana del 2023, la classifica cambia radicalmente. Considerando 2 settimane di uso dell’auto, se si guarda al prezzo della benzina, l’automobilista italiano balza al quarto posto della classifica, con una spesa di 42 euro, oltre il 40% in più rispetto a quello sloveno e il 15% in più rispetto a quello austriaco. Peggio di noi solo Danimarca (44 euro), Grecia e Francia (43 euro). Guardando al prezzo del diesel, invece, il conto pagato dall’automobilista italiano è il terzo più caro d’Europa: 43 euro, +24% rispetto a Slovenia e +17% sul Portogallo. Fanno peggio solo Svezia (49 euro) e Francia (44 euro).

Il peso di accise e imposte

Analizzando i dati della Commissione europea aggiornati alla prima settimana 2023 e relativi al valore percentuale di accise e imposte sul prezzo del carburante, emerge che l’Italia è la nazione dove queste voci pesano di più. Per la benzina sono pari al 58,2% del prezzo pagato alla pompa, mentre per il diesel al 51,1%. Nella prima settimana di dicembre 2022 il nostro Paese era terzultimo in classifica. Accise e imposte incidevano il 46,4% sul prezzo della benzina e il 38,9% su quello del diesel.
Curioso il caso svedese: è il Paese dove il peso percentuale delle tasse sul diesel è più basso (37,2%), ma il prezzo alla pompa è il più alto d’Europa.

Furti in appartamento in aumento in Italia: i risvolti economici e psicologici per le famiglie

Negli ultimi tempi, in Italia si stanno registrando sempre più episodi di furti in appartamento.

Tali furti comportano non soltanto una grave perdita a livello economico per le famiglie colpite, ma anche importanti risvolti psicologici.

Per questo motivo di seguito proveremo ad esaminare più da vicino questo fenomeno, purtroppo in aumento, e le conseguenze che esso ha su coloro che ne sono vittime.

Le statistiche sui furti in appartamento in Italia

Secondo le statistiche, quelli in appartamento rappresentano la maggior parte dei furti commessi in Italia. Nel 2022, ci sono stati oltre 200.000 episodi di questo tipo, con un aumento del 5% rispetto l’anno precedente.

La maggior parte di questi furti viene commesso da ladri professionisti, spesso organizzati in bande. Tuttavia, alcuni furti vengono commessi anche da conoscenti o addirittura da membri della famiglia.

I danni economici causati dai furti in appartamento

Un furto in appartamento può avere gravi conseguenze economiche per le famiglie colpite.

Oltre ai beni materiali rubati, come gioielli, denaro contante e oggetti di valore, i proprietari di casa devono anche affrontare i costi per riparare eventuali danni legati alle operazioni di scasso, come ad esempio la sostituzione di serrature o la riparazione di porte o finestre forzate.

Si tratta di conseguenze alle quali solitamente non si pensa, ma che a tutti gli effetti concorrono nella cosiddetta “conta dei danni”.

Gli effetti psicologici dei furti in appartamento

I furti in appartamento hanno anche importanti risvolti psicologici per le famiglie colpite, dunque non ci sono solo quelli economici.

Molti maturano sentimenti di disagio a seguito della violazione della propria privacy e di insicurezza all’interno di casa propria, il che può avere un impatto significativo sulla qualità della vita.

Inoltre il trauma causato dal furto, ed il  timore che possa capitare ancora, può portare a disturbi del sonno, ansia e depressione.

Come proteggersi dai furti in appartamento

Ci sono alcune misure di protezione che è possibile adottare per proteggersi dai furti in appartamento. Una delle più efficaci è l’installazione di sistemi di allarme e antintrusione.

Esistono ad esempio gli allarmi con sensori di movimento, telecamere di video sorveglianza, grate di sicurezza e porte blindate, su tutti.

È anche consigliabile l’adottare buone abitudini come il chiudere sempre a chiave porte e finestre quando si esce di casa e non condividere informazioni personali o dettagli sui propri spostamenti sui social media.

È inoltre utile fare in modo che la propria abitazione non appaia vuota per lunghi periodi di tempo, ad esempio chiedendo a un vicino di raccogliere la posta o di parcheggiare l’auto in cortile durante la nostra assenza.

Le contromisure delle autorità ai furti in appartamento

Le autorità stanno adottando nuove contromisure per contrastare l’aumento dei furti in appartamento in Italia.

Le forze dell’ordine stanno per questo intensificando i controlli sul territorio e lavorano a stretto contatto con le associazioni di proprietari di case per sensibilizzare sui rischi e sul come proteggere la propria abitazione.

Inoltre, sono stati introdotti nuovi strumenti legislativi per punire i colpevoli e prevenire il ripetersi di tali reati.

Il ruolo della comunità nella prevenzione dei furti in appartamento

Prevenire i furti in appartamento non è solo un compito delle autorità, ma anche dell’intera comunità.

I vicini di casa che si conoscono e si aiutano a vicenda possono costituire un deterrente per i ladri, rendendo più difficile per loro l’agire indisturbati.

Ad esempio, è possibile organizzare turni di vigilanza o creare un gruppo Whatsapp per condividere in tempo reale informazioni su eventuali attività sospette.

In questo modo, si può contribuire a creare un ambiente più sicuro per tutti.

Come affrontare il trauma causato da un furto in appartamento

Se si è stati vittime di un furto in appartamento, può essere difficile superare il trauma ed il senso di violazione della propria casa.

È importante ricordare che è normale provare questi sentimenti e che ci sono diversi modi per affrontarli e superarli. Ad esempio, può essere utile parlare del proprio stato d’animo con amici e familiari o con un professionista, come uno psicologo.

Inoltre, è importante prendersi cura di sé, ad esempio cercando di mantenere una routine regolare e dedicarsi ad attività che aiutino a rilassarsi e a scaricare lo stress.

In conclusione, i furti in appartamento rappresentano un grave problema in Italia, con conseguenze economiche e psicologiche per le famiglie colpite. Tuttavia, ci sono diversi modi per proteggersi e per affrontare il trauma causato da questo tipo di episodi.

È importante per questo che le autorità, le associazioni di vicinato e la comunità lavorino insieme per prevenire i furti in appartamento e creare situazioni più sicure per tutti.

Flat tax: chi paga più tasse, autonomi o dipendenti?

La flat tax è stata innalzata fino a 85mila euro di fatturato, ma a quanto emerge dai calcoli dell’Ufficio studi della Cgia gli autonomi continuano a pagare più tasse dei lavoratori dipendenti. Solo nella fascia di reddito tra 60 e i 65mila euro le partite Iva che si avvalgono della flat tax pagano meno, mentre in tutte le altre comparazioni, ovvero tra 10mila a 55mila euro di reddito, gli autonomi pagano sempre molto più di impiegati e operai. E se il confronto è tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la flat tax il maggior prelievo in capo a questi ultimi aumenta a dismisura, con punte di oltre 6mila euro all’anno tra le partite Iva che dichiarano tra 60 e 65mila euro di reddito.

Un vantaggio fiscale per potenziali 140.000 lavoratori autonomi

La situazione, dunque, cambia segno a partire dalla classe di reddito pari a 60mila euro. In questo caso, gli autonomi con flat tax subiranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore ai dipendenti di 640 euro, e di 1.285 euro con un reddito da 65mila. Ma quanti sono i potenziali lavoratori autonomi che con lo slittamento della soglia a 85mila euro potranno beneficiare del vantaggio fiscale garantito dall’applicazione della flat tax? Dall’elaborazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi 2021 (anno di imposta 2020), potrebbero essere 140mila.

Per lo Stato un esborso maggiore di 404 milioni di euro all’anno

Ma gli effettivi beneficiari del regime di favore sono meno di 140.000, in quanto oltre a non superare il limite di ricavi/compensi di 85mila euro, devono rispettare ulteriori requisiti stabiliti dalla legge. Tra cui, ad esempio, non aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio o di collaborazione, superiori a 20mila euro. Secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi 2021 i contribuenti in regime forfetario ammontano a poco meno di 1.728.000. E secondo la Relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio 2023, si stima che l’ampliamento delle soglie di ricavi/compensi per accedere alla flat tax previsto dal Governo Meloni comporterà un costo aggiuntivo per le casse dello Stato di 404 milioni di euro all’anno, riferisce Adnkronos.

Una misura di sostegno per i professionisti iscritti alla Gestione separata

Dal 2021, però, gli autonomi dispongono dell’ISCRO (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa), costituita solo per il triennio 2021-2023 e rivolta esclusivamente ai professionisti e lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS con redditi molto bassi e momentanei cali di fatturato. Si tratta di una indennità semestrale, richiedibile una sola volta nel triennio, pari al 25% dell’ultimo reddito dichiarato. La misura di sostegno prevede l’erogazione di una indennità mensile tra 250 euro e 800 euro, a seconda dei requisiti posseduti dal richiedente.

Gli italiani hanno fiducia nella tecnologia

Il settore tecnologico continua a registrare livelli di fiducia più alti rispetto ad altri settori. A livello globale l’indice di fiducia a ottobre ha toccato il 76%, +4% rispetto a gennaio. Un dato confermato anche in Italia: a inizio anno è infatti del 73%, +4% rispetto al 2021. Sono alcuni dati emersi dall’analisi incrociata dell’Edelman Trust Barometer 2022, l’indagine globale sul tema della fiducia, e lo Special Report Trust in Technology. Secondo il Trust Barometer 2022 i numeri sono in crescita nella quasi totalità dei Paesi analizzati. Cina e Indonesia registrano tassi rispettivamente del 90% del 91%, mentre Stati Uniti e Canada sono in lieve decrescita.

La privacy non preoccupa, gli haker sì

L’Italia è davanti a Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, preceduta solo dall’Olanda (74%), ed è l’unico Paese europeo in cui il settore della tecnologia è l’unico con l’indice di fiducia più alto.
Tra i Paesi analizzati, l’Italia (44%) è insieme alla Germania (39%) tra i meno preoccupati dalla privacy dei dati raccolti dalle aziende, dalla sicurezza e il possibile uso manipolatorio. Al contrario, le preoccupazioni principali degli italiani in ambito tech riguardano le attività degli hacker, che cresce di 5 punti toccando il 69% (vs 71% globale), e la possibile perdita di lavoro a causa delle innovazioni tecnologiche o dell’automazione, che però scende di un punto (53%) rispetto allo scorso anno.

I sottosettori

A guidare in alto la fiducia del comparto tecnologico sono le tecnologie legate alla salute (69%), insieme ad alcuni ambiti che nel corso degli ultimi mesi si sono affermati nel dibattito pubblico facendo breccia nella vita quotidiana.
Tra questi, il sottosettore del 5G (66%) e quello dell’IoT (60%), che entrano nell’area della fiducia con una crescita rispettivamente del 4% e 1% rispetto allo scorso anno. In crescita, anche l’AI, un altro tema tech molto discusso, che raggiunge il 59% dei consensi.

I lavoratori del Tech

Un altro aspetto analizzato dal Trust Barometer 2022 è quello dei lavoratori del settore Tech. Oltre a concordare (79%) che la tecnologia ha un impatto positivo sul proprio lavoro, a livello globale (84%) dimostrano più dei colleghi degli altri comparti una fiducia generalizzata verso i propri datori di lavoro. Il 68% degli stessi lavoratori chiede però ai propri ceo di prendere posizione pubblicamente su temi sociali e politici in cui credono. Tra i temi che i leader aziendali dovrebbero affrontare al primo posto c’è quello del lavoro e dell’economia, insieme all’equità dei salari.

Nel 2022 raddoppiano gli attacchi ransomware mirati

Nel 2022 le organizzazioni di ransomware hanno continuato a perfezionare le loro tecniche e secondo l’ultimo report di Kaspersky sul crimeware nei primi dieci mesi del 2022 la percentuale di utenti attaccati da ransomware mirati è quasi raddoppiata rispetto al 2021. In particolare, nel 2022 la percentuale di utenti colpiti da attacchi ransomware mirati rappresenta lo 0,026% di tutti gli utenti attaccati da malware. Nel 2021 era lo 0,016%. Sono cifre che dimostrano come i criminali informatici per raggiungere i loro obiettivi stiano passando da attacchi opportunistici ad attacchi ransomware mirati.

Non solo Lockbit: le varianti sono oltre 21.400 

I gruppi di ransomware continuano a migliorare le loro tecniche. Uno di questi, Lockbit, rimane una delle varianti di ransomware più popolari, innovative e in rapido sviluppo attualmente in uso. Questo gruppo continua a creare insidie agli specialisti della cybersecurity aggiungendo nuove opzioni, come la pratica del dumping delle credenziali, una tecnica che prevede che l’attore possa prendere il controllo del dominio del computer infetto e creare una named pipe per reimpostare le credenziali del sistema operativo. Tuttavia, continuano a emergere nuove varianti di ransomware. Nel corso del 2022, Kaspersky ha rilevato oltre 21.400 varianti di ransomware.

L’ultima scoperta è Play

La scoperta più recente è Play, una nuova variante di ransomware altamente offuscata che rende più difficile l’analisi. Il suo codice non ha alcuna somiglianza con altri campioni di ransomware, ma fortunatamente Play è nelle prime fasi di sviluppo. Quando è stata condotta l’indagine non è stato possibile individuare la posizione della violazione, e alle vittime è stato richiesto di contattare i criminali tramite un indirizzo e-mail lasciato nella nota di riscatto.
Ciò che ha attirato l’attenzione dei ricercatori è che Play contiene una funzionalità recentemente riscontrata in altre varianti avanzate di ransomware: l’auto-propagazione. In pratica, gli attaccanti trovano un server message block (SMB) e stabiliscono una connessione. Successivamente, Play cerca di montare il suddetto SMB e distribuire ed eseguire il ransomware nel sistema remoto.

Tecniche sempre più inventive

“Gli sviluppatori di ransomware tengono d’occhio il lavoro dei concorrenti. Se uno di loro implementa con successo una determinata funzionalità, è molto probabile che anche altri lo facciano – commenta Jornt van der Wiel, Security Expert di Kaspersky -. Sempre più gruppi di ransomware adottano tecniche inventive che rendono gli attacchi ransomware ancora più mirati e distruttivi, e le statistiche di quest’anno lo dimostrano. Un’altra cosa che non smetteremo mai di ricordare al pubblico è la necessità di effettuare backup regolari e di conservarli offline”. 

Rinnovabili, per gli italiani non c’è tempo da perdere

Come vedono il futuro i nostri connazionali in merito a quanto sta succedendo a livello di clima e ambente? Il 92% degli italiani è preoccupato dal cambiamento climatico e per l’82% è necessaria la transizione EcoDigital: priorità è incentivare le rinnovabili. Anche con misure drastiche, per non aggravare la crisi climatica in atto. Ecco, in estrema sintesi, i dati emersi dal 20° Rapporto “Gli italiani, le rinnovabili e la Green&Blue economy” presentato al convegno di celebrazione del “Mediterranean Day”, realizzato da Fondazione UniVerde e Noto Sondaggi.

Un’emergenza collegata ai recenti disastri

“Il 92%, la quasi totalità degli italiani, è preoccupato per il cambiamento climatico” ha detto Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde. “Un’emergenza drammaticamente collegata al disastro di Ischia, come anche all’alluvione nelle Marche e al fiume di acqua e fango a Formia. Per il 76% degli italiani è prioritario aumentare la produzione da fonti rinnovabili, in particolare solare ed eolico offshore, per garantire energia al Paese senza aggravare ulteriormente la crisi climatica. Nonostante la propaganda a favore di un nucleare cosiddetto ‘pulito’, oltre l’80% ritiene che questa energia non sia la risposta al climate change. Considerato anche lo scandaloso fallimento della COP27, chiediamo al Governo un impegno per favorire la transizione energetica ed EcoDigital, come richiesto dagli italiani, evitando di impantanare Parlamento e Paese in un dibattito su centrali nucleari o trivellazioni petrolifere che ha già fatto perdere anni importanti all’Italia, invece di farla affermare quale leader delle rinnovabili e della green&blue economy”.

Le forme di energia “green”

Cresce costantemente la quota degli italiani sicura che il mercato dell’energia del futuro andrà verso le rinnovabili, arrivando al 90% (+6% rispetto alla precedente rilevazione e ben +26% negli ultimi 6 anni). È in aumento il consenso degli italiani per quanto riguarda la messa in opera di grandi impianti eolici, sia dislocati sulle colline (76%) che a mare (off-shore) ma lontani e invisibili dalla costa (39%). In merito alla transizione energetica, si mantiene stabile il campione (44%) a conoscenza che l’UE punta sull’idrogeno verde come elemento essenziale, e per il 73% sarebbe importante per l’Italia incentivare questa innovazione. Il 40% ritiene che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 55% di energia da fonti rinnovabili ma oltre il target fissato al 2030. pressoché tutti concordi (il 91%, con un aumento di due punti percentuali rispetto l’anno precedente) sul fatto he oggi  passare al solare sia più sicuro.

Appuntamento con la sveglia del mattino: come si comportano gli italiani?

Qual è il compagno di “sveglia” degli italiani? Con quale strumento preferiscono alzarsi? Tra i mezzi prediletti vince la sveglia dello smartphone (73%), ma circa 1 su 10 è ancora affezionato a quella analogica (9%) o confida nel suo orologio biologico (11%). Qualunque sia il device per alzarsi, quello che resta una costante è la pochissima voglia di scendere dal letto. Tanto che la gran parte degli italiani posticipa la sveglia fino all’ultimo secondo. Sono solo alcuni dei risultati emersi dall’indagine condotta da Emma – The Sleep Company che ha esplorato il rapporto degli abitanti del Bel Paese con il trillo del mattino.  

I consigli del buon giorno

Per comprendere quali siano le buone regole della sveglia, Emma Company ha coinvolto Theresa Schnorbach, psicologa specializzata in terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia e Sleep Scientist. Per combattere “l’ansia da sveglia”, ci sono 4 strategie da seguire.  Prima, evitare l’uso di sveglie in vacanza e nei fine settimana: nei giorni liberi meglio non affidarsi al trillo della sveglia, poco funzionale per il fisico e la mente e aiutare il corpo a riscoprire quei segnali naturali che indicano l’ora di destarsi. Seconda, utilizzare una sveglia “Sunrise” durante i giorni lavorativi: è uno strumento più “soft” dello squillo della sveglia, per un “buongiorno” senza stress. Si tratta di modelli che non emettono suoni o vibrazioni, ma favoriscono il risveglio con un graduale aumento della luminosità nell’arco di alcuni minuti. Terza regola, individuare il momento giusto: è ideale svegliarsi ogni giorno sempre alla stessa ora per allenare il corpo a una sana routine di sonno, regolare e costante. Un consiglio pratico potrebbe essere di impostare la sveglia alcuni minuti prima rispetto al momento di alzarsi dal letto, in modo che il corpo si prepari ad affrontare la giornata senza sentirsi eccessivamente stressato. Infine, quarta dritta: scegliere la fase di sonno corretta per il risveglio. Uno dei motivi per cui ci si può sentire poco riposati al mattino è che si viene destati durante la fase di sonno errata, ovvero sonno profondo o REM. 

Aprire gli occhi, che fatica

Aprire gli occhi la mattina è un compito difficile; basti pensare che per quasi 1 italiano su 5 (17%) è necessario che suonino più sveglie o che ci sia qualcuno che fisicamente vada a chiamarlo in camera. Non solo, neanche smettere di crogiolarsi sotto le coperte è semplice, basti pensare che per 1 su 10 (10%) trascorrono ben 30 minuti dal suono della sveglia al momento effettivo di alzarsi dal letto. Non sorprende dunque che posticipare la sveglia sia una filosofia di molti abitanti dello Stivale; infatti, più di un terzo di loro (36%) lo fa quotidianamente, il 16% solo in settimana e il 15% durante i weekend. Tra chi la mattina si concede qualche secondo di sonno in più con il pulsante “snooze”, più della metà (52%) si limita a rimandare la sveglia una volta, ma non manca chi lo schiaccia almeno un paio di volte (19%) o chi posticipa oltre le tre volte (22%).

Italiani digitali, ma comprano meno device e sono scettici sul 5G

Nel 2022 la percentuale di italiani che hanno avuto accesso ai dispositivi digitali è rimasta stabile. Tra i dispositivi più diffusi, gli smartphone, posseduti dal 94% degli italiani, e i computer portatili (83%). Seguono, con un certo distacco, tablet e pc desktop, dispositivi e-Reader e console da gioco portatili. Ancora ‘di nicchia’, i visori di realtà virtuale (8%), e i fitness band, mentre gli smartwatch sono l’unica voce in significativa crescita (più del 30%). Quanto al 5G, il trend di diffusione è in crescita, ma resta la difficoltà a comprenderne l’effettiva portata. È quanto emerge dalla Digital Consumer Trends Survey 2022 di Deloitte.

L’impatto ambientale

Emerge la crescente attenzione alla durata media dei dispositivi, che porta ad allungarne il ciclo di vita e a ridurre gli impatti derivanti dalla produzione e distribuzione. Così, se da un lato un consumatore su due ritiene che le aziende dovrebbero esplicitare l’impronta ecologica dei dispositivi commercializzati, solo il 23% pensa che le aziende siano trasparenti relativamente al proprio impatto ambientale. E solo un consumatore su tre è disposto a pagare un prezzo maggiore per acquistare uno smartphone più sostenibile. Inoltre, gli italiani continuano a preferire uno smartphone nuovo, perché il tema della durata e della vita media di un dispositivo è tra le caratteristiche che guidano nella scelta di acquisto.

Solo il 3% non ha accesso a internet a casa

Tra gli italiani solo il 3% non ha accesso a internet a casa, mentre il 69% si appoggia a un fornitore di connettività fissa a banda larga tramite Wi-Fi. La restante parte si affida soprattutto a un provider di rete internet mobile. Tra chi ha scelto di avvalersi del servizio internet di un provider di rete fissa broadband, uno su tre dichiara che questo non fa parte di un pacchetto con altri servizi. Chi invece ha scelto di sottoscrivere un pacchetto, integra soprattutto la linea telefonica fissa, aderendo ancora a un modello ‘tradizionale’ di offerta di servizi di telecomunicazione. Meno frequente è l’associazione del servizio a banda larga con una connessione mobile (6%), così come ancora poco adottati i pacchetti che associano la connettività domestica ad abbonamenti come, ad esempio, servizi streaming e TV.

4G o 5G?

Oggi sono ancora pochi gli italiani che utilizzano con regolarità il 5G, riporta Adnkronos: solo il 9% di chi possiede un telefono o uno smartphone. Tra chi utilizza il 5G, il 38% non sa spiegare la differenza con il 4G (45% tra i giovanissimi), e tra chi possiede uno smartphone, il 44% non sa abbastanza sul tema. In alcuni casi, anche la copertura può rendere difficile l’effettiva fruizione del potenziale del 5G. E non mancano gli scettici. Tra chi possiede uno smartphone o un telefono, uno su cinque non ha un dispositivo che supporta il 5G e non è interessato ad averlo. Mentre il 15%, pur avendo un dispositivo che lo supporta, non ha acquistato un piano dati che lo include.

Le medie imprese valutano l’utilizzo di software pirata per ridurre i costi 

Il 24% delle aziende con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 999 è pronto a utilizzare versioni pirata dei software aziendali per ridurre le spese relative all’IT. Al contrario, l’ultimo report di Kaspersky rivela che tra le piccole imprese, quelle con meno di 50 dipendenti, solo l’8% è pronto a fare questo passo. Questa procedura può compromettere seriamente la sicurezza informatica aziendale, poiché gli avversari distribuiscono attivamente file dannosi sotto le sembianze dei software più utilizzati. Secondo Kaspersky Security Network (KSN), in soli otto mesi 9.685 utenti si sono imbattuti in malware e software indesiderati e nascosti dietro le sembianze dei prodotti software più utilizzati dalle piccole e medie imprese. In generale, 4.525 file malevoli o potenzialmente indesiderati sono stati diffusi tramite software per Pmi distribuiti non ufficialmente, compresi quelli piratati.

Alla ricerca di alternative gratuite

Lo studio di Kaspersky ha come obiettivo quello di scoprire quali sono le tattiche di gestione delle criticità che i responsabili aziendali ritengono più efficaci, e come alcune operazioni possano compromettere seriamente la sicurezza informatica di un’azienda. Soluzioni efficaci come la ricerca di fornitori a basso costo, e l’adozione di alternative gratuite al software usato abitualmente, sono le opzioni più apprezzate dagli intervistati, rispettivamente con il 41% e il 32% delle preferenze. Ma il 15% dei responsabili aziendali intervistati sostituirebbe il proprio software con una versione pirata per ridurre i costi.

C’è chi utilizza anche software di cybersecurity piratati

Per quanto riguarda le tipologie di programmi che gli intervistati ritengono di poter sostituire con copie piratate, la maggior parte ha scelto software di project management, marketing e vendite. E il 41% è perfino d’accordo nell’utilizzare un software di cybersecurity piratato.
“La mancanza di risorse è una situazione comune per le piccole e medie imprese, ma l’uso di un software pirata o violato dovrebbe essere assolutamente evitato se un’azienda si preoccupa della sua sicurezza, della sua reputazione e delle sue entrate”, commenta Cesare D’Angelo, General Manager Italia di Kaspersky.

Le alternative ufficiali gratuite sono le opzioni migliori

“Le copie pirata solitamente contengono Trojan e miners, e sono prive delle correzioni o delle patch rilasciate dagli sviluppatori per risolvere le vulnerabilità che potrebbero essere sfruttate dai criminali informatici – aggiunge Cesare D’Angelo -. Le alternative ufficiali gratuite sono opzioni migliori per chi ha bisogno di risparmiare sull’IT”.
È infatti possibile utilizzare soluzioni di sicurezza gratuite. Di solito hanno meno funzioni dei prodotti a pagamento, ma possono comunque essere molto utili. È importante scegliere una soluzione basata sui risultati di test indipendenti e scaricarla direttamente dal sito dello sviluppatore.