Flat tax: chi paga più tasse, autonomi o dipendenti?

La flat tax è stata innalzata fino a 85mila euro di fatturato, ma a quanto emerge dai calcoli dell’Ufficio studi della Cgia gli autonomi continuano a pagare più tasse dei lavoratori dipendenti. Solo nella fascia di reddito tra 60 e i 65mila euro le partite Iva che si avvalgono della flat tax pagano meno, mentre in tutte le altre comparazioni, ovvero tra 10mila a 55mila euro di reddito, gli autonomi pagano sempre molto più di impiegati e operai. E se il confronto è tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la flat tax il maggior prelievo in capo a questi ultimi aumenta a dismisura, con punte di oltre 6mila euro all’anno tra le partite Iva che dichiarano tra 60 e 65mila euro di reddito.

Un vantaggio fiscale per potenziali 140.000 lavoratori autonomi

La situazione, dunque, cambia segno a partire dalla classe di reddito pari a 60mila euro. In questo caso, gli autonomi con flat tax subiranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore ai dipendenti di 640 euro, e di 1.285 euro con un reddito da 65mila. Ma quanti sono i potenziali lavoratori autonomi che con lo slittamento della soglia a 85mila euro potranno beneficiare del vantaggio fiscale garantito dall’applicazione della flat tax? Dall’elaborazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi 2021 (anno di imposta 2020), potrebbero essere 140mila.

Per lo Stato un esborso maggiore di 404 milioni di euro all’anno

Ma gli effettivi beneficiari del regime di favore sono meno di 140.000, in quanto oltre a non superare il limite di ricavi/compensi di 85mila euro, devono rispettare ulteriori requisiti stabiliti dalla legge. Tra cui, ad esempio, non aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio o di collaborazione, superiori a 20mila euro. Secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi 2021 i contribuenti in regime forfetario ammontano a poco meno di 1.728.000. E secondo la Relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio 2023, si stima che l’ampliamento delle soglie di ricavi/compensi per accedere alla flat tax previsto dal Governo Meloni comporterà un costo aggiuntivo per le casse dello Stato di 404 milioni di euro all’anno, riferisce Adnkronos.

Una misura di sostegno per i professionisti iscritti alla Gestione separata

Dal 2021, però, gli autonomi dispongono dell’ISCRO (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa), costituita solo per il triennio 2021-2023 e rivolta esclusivamente ai professionisti e lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS con redditi molto bassi e momentanei cali di fatturato. Si tratta di una indennità semestrale, richiedibile una sola volta nel triennio, pari al 25% dell’ultimo reddito dichiarato. La misura di sostegno prevede l’erogazione di una indennità mensile tra 250 euro e 800 euro, a seconda dei requisiti posseduti dal richiedente.

Gli italiani hanno fiducia nella tecnologia

Il settore tecnologico continua a registrare livelli di fiducia più alti rispetto ad altri settori. A livello globale l’indice di fiducia a ottobre ha toccato il 76%, +4% rispetto a gennaio. Un dato confermato anche in Italia: a inizio anno è infatti del 73%, +4% rispetto al 2021. Sono alcuni dati emersi dall’analisi incrociata dell’Edelman Trust Barometer 2022, l’indagine globale sul tema della fiducia, e lo Special Report Trust in Technology. Secondo il Trust Barometer 2022 i numeri sono in crescita nella quasi totalità dei Paesi analizzati. Cina e Indonesia registrano tassi rispettivamente del 90% del 91%, mentre Stati Uniti e Canada sono in lieve decrescita.

La privacy non preoccupa, gli haker sì

L’Italia è davanti a Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, preceduta solo dall’Olanda (74%), ed è l’unico Paese europeo in cui il settore della tecnologia è l’unico con l’indice di fiducia più alto.
Tra i Paesi analizzati, l’Italia (44%) è insieme alla Germania (39%) tra i meno preoccupati dalla privacy dei dati raccolti dalle aziende, dalla sicurezza e il possibile uso manipolatorio. Al contrario, le preoccupazioni principali degli italiani in ambito tech riguardano le attività degli hacker, che cresce di 5 punti toccando il 69% (vs 71% globale), e la possibile perdita di lavoro a causa delle innovazioni tecnologiche o dell’automazione, che però scende di un punto (53%) rispetto allo scorso anno.

I sottosettori

A guidare in alto la fiducia del comparto tecnologico sono le tecnologie legate alla salute (69%), insieme ad alcuni ambiti che nel corso degli ultimi mesi si sono affermati nel dibattito pubblico facendo breccia nella vita quotidiana.
Tra questi, il sottosettore del 5G (66%) e quello dell’IoT (60%), che entrano nell’area della fiducia con una crescita rispettivamente del 4% e 1% rispetto allo scorso anno. In crescita, anche l’AI, un altro tema tech molto discusso, che raggiunge il 59% dei consensi.

I lavoratori del Tech

Un altro aspetto analizzato dal Trust Barometer 2022 è quello dei lavoratori del settore Tech. Oltre a concordare (79%) che la tecnologia ha un impatto positivo sul proprio lavoro, a livello globale (84%) dimostrano più dei colleghi degli altri comparti una fiducia generalizzata verso i propri datori di lavoro. Il 68% degli stessi lavoratori chiede però ai propri ceo di prendere posizione pubblicamente su temi sociali e politici in cui credono. Tra i temi che i leader aziendali dovrebbero affrontare al primo posto c’è quello del lavoro e dell’economia, insieme all’equità dei salari.

Nel 2022 raddoppiano gli attacchi ransomware mirati

Nel 2022 le organizzazioni di ransomware hanno continuato a perfezionare le loro tecniche e secondo l’ultimo report di Kaspersky sul crimeware nei primi dieci mesi del 2022 la percentuale di utenti attaccati da ransomware mirati è quasi raddoppiata rispetto al 2021. In particolare, nel 2022 la percentuale di utenti colpiti da attacchi ransomware mirati rappresenta lo 0,026% di tutti gli utenti attaccati da malware. Nel 2021 era lo 0,016%. Sono cifre che dimostrano come i criminali informatici per raggiungere i loro obiettivi stiano passando da attacchi opportunistici ad attacchi ransomware mirati.

Non solo Lockbit: le varianti sono oltre 21.400 

I gruppi di ransomware continuano a migliorare le loro tecniche. Uno di questi, Lockbit, rimane una delle varianti di ransomware più popolari, innovative e in rapido sviluppo attualmente in uso. Questo gruppo continua a creare insidie agli specialisti della cybersecurity aggiungendo nuove opzioni, come la pratica del dumping delle credenziali, una tecnica che prevede che l’attore possa prendere il controllo del dominio del computer infetto e creare una named pipe per reimpostare le credenziali del sistema operativo. Tuttavia, continuano a emergere nuove varianti di ransomware. Nel corso del 2022, Kaspersky ha rilevato oltre 21.400 varianti di ransomware.

L’ultima scoperta è Play

La scoperta più recente è Play, una nuova variante di ransomware altamente offuscata che rende più difficile l’analisi. Il suo codice non ha alcuna somiglianza con altri campioni di ransomware, ma fortunatamente Play è nelle prime fasi di sviluppo. Quando è stata condotta l’indagine non è stato possibile individuare la posizione della violazione, e alle vittime è stato richiesto di contattare i criminali tramite un indirizzo e-mail lasciato nella nota di riscatto.
Ciò che ha attirato l’attenzione dei ricercatori è che Play contiene una funzionalità recentemente riscontrata in altre varianti avanzate di ransomware: l’auto-propagazione. In pratica, gli attaccanti trovano un server message block (SMB) e stabiliscono una connessione. Successivamente, Play cerca di montare il suddetto SMB e distribuire ed eseguire il ransomware nel sistema remoto.

Tecniche sempre più inventive

“Gli sviluppatori di ransomware tengono d’occhio il lavoro dei concorrenti. Se uno di loro implementa con successo una determinata funzionalità, è molto probabile che anche altri lo facciano – commenta Jornt van der Wiel, Security Expert di Kaspersky -. Sempre più gruppi di ransomware adottano tecniche inventive che rendono gli attacchi ransomware ancora più mirati e distruttivi, e le statistiche di quest’anno lo dimostrano. Un’altra cosa che non smetteremo mai di ricordare al pubblico è la necessità di effettuare backup regolari e di conservarli offline”. 

Rinnovabili, per gli italiani non c’è tempo da perdere

Come vedono il futuro i nostri connazionali in merito a quanto sta succedendo a livello di clima e ambente? Il 92% degli italiani è preoccupato dal cambiamento climatico e per l’82% è necessaria la transizione EcoDigital: priorità è incentivare le rinnovabili. Anche con misure drastiche, per non aggravare la crisi climatica in atto. Ecco, in estrema sintesi, i dati emersi dal 20° Rapporto “Gli italiani, le rinnovabili e la Green&Blue economy” presentato al convegno di celebrazione del “Mediterranean Day”, realizzato da Fondazione UniVerde e Noto Sondaggi.

Un’emergenza collegata ai recenti disastri

“Il 92%, la quasi totalità degli italiani, è preoccupato per il cambiamento climatico” ha detto Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde. “Un’emergenza drammaticamente collegata al disastro di Ischia, come anche all’alluvione nelle Marche e al fiume di acqua e fango a Formia. Per il 76% degli italiani è prioritario aumentare la produzione da fonti rinnovabili, in particolare solare ed eolico offshore, per garantire energia al Paese senza aggravare ulteriormente la crisi climatica. Nonostante la propaganda a favore di un nucleare cosiddetto ‘pulito’, oltre l’80% ritiene che questa energia non sia la risposta al climate change. Considerato anche lo scandaloso fallimento della COP27, chiediamo al Governo un impegno per favorire la transizione energetica ed EcoDigital, come richiesto dagli italiani, evitando di impantanare Parlamento e Paese in un dibattito su centrali nucleari o trivellazioni petrolifere che ha già fatto perdere anni importanti all’Italia, invece di farla affermare quale leader delle rinnovabili e della green&blue economy”.

Le forme di energia “green”

Cresce costantemente la quota degli italiani sicura che il mercato dell’energia del futuro andrà verso le rinnovabili, arrivando al 90% (+6% rispetto alla precedente rilevazione e ben +26% negli ultimi 6 anni). È in aumento il consenso degli italiani per quanto riguarda la messa in opera di grandi impianti eolici, sia dislocati sulle colline (76%) che a mare (off-shore) ma lontani e invisibili dalla costa (39%). In merito alla transizione energetica, si mantiene stabile il campione (44%) a conoscenza che l’UE punta sull’idrogeno verde come elemento essenziale, e per il 73% sarebbe importante per l’Italia incentivare questa innovazione. Il 40% ritiene che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 55% di energia da fonti rinnovabili ma oltre il target fissato al 2030. pressoché tutti concordi (il 91%, con un aumento di due punti percentuali rispetto l’anno precedente) sul fatto he oggi  passare al solare sia più sicuro.

Appuntamento con la sveglia del mattino: come si comportano gli italiani?

Qual è il compagno di “sveglia” degli italiani? Con quale strumento preferiscono alzarsi? Tra i mezzi prediletti vince la sveglia dello smartphone (73%), ma circa 1 su 10 è ancora affezionato a quella analogica (9%) o confida nel suo orologio biologico (11%). Qualunque sia il device per alzarsi, quello che resta una costante è la pochissima voglia di scendere dal letto. Tanto che la gran parte degli italiani posticipa la sveglia fino all’ultimo secondo. Sono solo alcuni dei risultati emersi dall’indagine condotta da Emma – The Sleep Company che ha esplorato il rapporto degli abitanti del Bel Paese con il trillo del mattino.  

I consigli del buon giorno

Per comprendere quali siano le buone regole della sveglia, Emma Company ha coinvolto Theresa Schnorbach, psicologa specializzata in terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia e Sleep Scientist. Per combattere “l’ansia da sveglia”, ci sono 4 strategie da seguire.  Prima, evitare l’uso di sveglie in vacanza e nei fine settimana: nei giorni liberi meglio non affidarsi al trillo della sveglia, poco funzionale per il fisico e la mente e aiutare il corpo a riscoprire quei segnali naturali che indicano l’ora di destarsi. Seconda, utilizzare una sveglia “Sunrise” durante i giorni lavorativi: è uno strumento più “soft” dello squillo della sveglia, per un “buongiorno” senza stress. Si tratta di modelli che non emettono suoni o vibrazioni, ma favoriscono il risveglio con un graduale aumento della luminosità nell’arco di alcuni minuti. Terza regola, individuare il momento giusto: è ideale svegliarsi ogni giorno sempre alla stessa ora per allenare il corpo a una sana routine di sonno, regolare e costante. Un consiglio pratico potrebbe essere di impostare la sveglia alcuni minuti prima rispetto al momento di alzarsi dal letto, in modo che il corpo si prepari ad affrontare la giornata senza sentirsi eccessivamente stressato. Infine, quarta dritta: scegliere la fase di sonno corretta per il risveglio. Uno dei motivi per cui ci si può sentire poco riposati al mattino è che si viene destati durante la fase di sonno errata, ovvero sonno profondo o REM. 

Aprire gli occhi, che fatica

Aprire gli occhi la mattina è un compito difficile; basti pensare che per quasi 1 italiano su 5 (17%) è necessario che suonino più sveglie o che ci sia qualcuno che fisicamente vada a chiamarlo in camera. Non solo, neanche smettere di crogiolarsi sotto le coperte è semplice, basti pensare che per 1 su 10 (10%) trascorrono ben 30 minuti dal suono della sveglia al momento effettivo di alzarsi dal letto. Non sorprende dunque che posticipare la sveglia sia una filosofia di molti abitanti dello Stivale; infatti, più di un terzo di loro (36%) lo fa quotidianamente, il 16% solo in settimana e il 15% durante i weekend. Tra chi la mattina si concede qualche secondo di sonno in più con il pulsante “snooze”, più della metà (52%) si limita a rimandare la sveglia una volta, ma non manca chi lo schiaccia almeno un paio di volte (19%) o chi posticipa oltre le tre volte (22%).

Italiani digitali, ma comprano meno device e sono scettici sul 5G

Nel 2022 la percentuale di italiani che hanno avuto accesso ai dispositivi digitali è rimasta stabile. Tra i dispositivi più diffusi, gli smartphone, posseduti dal 94% degli italiani, e i computer portatili (83%). Seguono, con un certo distacco, tablet e pc desktop, dispositivi e-Reader e console da gioco portatili. Ancora ‘di nicchia’, i visori di realtà virtuale (8%), e i fitness band, mentre gli smartwatch sono l’unica voce in significativa crescita (più del 30%). Quanto al 5G, il trend di diffusione è in crescita, ma resta la difficoltà a comprenderne l’effettiva portata. È quanto emerge dalla Digital Consumer Trends Survey 2022 di Deloitte.

L’impatto ambientale

Emerge la crescente attenzione alla durata media dei dispositivi, che porta ad allungarne il ciclo di vita e a ridurre gli impatti derivanti dalla produzione e distribuzione. Così, se da un lato un consumatore su due ritiene che le aziende dovrebbero esplicitare l’impronta ecologica dei dispositivi commercializzati, solo il 23% pensa che le aziende siano trasparenti relativamente al proprio impatto ambientale. E solo un consumatore su tre è disposto a pagare un prezzo maggiore per acquistare uno smartphone più sostenibile. Inoltre, gli italiani continuano a preferire uno smartphone nuovo, perché il tema della durata e della vita media di un dispositivo è tra le caratteristiche che guidano nella scelta di acquisto.

Solo il 3% non ha accesso a internet a casa

Tra gli italiani solo il 3% non ha accesso a internet a casa, mentre il 69% si appoggia a un fornitore di connettività fissa a banda larga tramite Wi-Fi. La restante parte si affida soprattutto a un provider di rete internet mobile. Tra chi ha scelto di avvalersi del servizio internet di un provider di rete fissa broadband, uno su tre dichiara che questo non fa parte di un pacchetto con altri servizi. Chi invece ha scelto di sottoscrivere un pacchetto, integra soprattutto la linea telefonica fissa, aderendo ancora a un modello ‘tradizionale’ di offerta di servizi di telecomunicazione. Meno frequente è l’associazione del servizio a banda larga con una connessione mobile (6%), così come ancora poco adottati i pacchetti che associano la connettività domestica ad abbonamenti come, ad esempio, servizi streaming e TV.

4G o 5G?

Oggi sono ancora pochi gli italiani che utilizzano con regolarità il 5G, riporta Adnkronos: solo il 9% di chi possiede un telefono o uno smartphone. Tra chi utilizza il 5G, il 38% non sa spiegare la differenza con il 4G (45% tra i giovanissimi), e tra chi possiede uno smartphone, il 44% non sa abbastanza sul tema. In alcuni casi, anche la copertura può rendere difficile l’effettiva fruizione del potenziale del 5G. E non mancano gli scettici. Tra chi possiede uno smartphone o un telefono, uno su cinque non ha un dispositivo che supporta il 5G e non è interessato ad averlo. Mentre il 15%, pur avendo un dispositivo che lo supporta, non ha acquistato un piano dati che lo include.

Le medie imprese valutano l’utilizzo di software pirata per ridurre i costi 

Il 24% delle aziende con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 999 è pronto a utilizzare versioni pirata dei software aziendali per ridurre le spese relative all’IT. Al contrario, l’ultimo report di Kaspersky rivela che tra le piccole imprese, quelle con meno di 50 dipendenti, solo l’8% è pronto a fare questo passo. Questa procedura può compromettere seriamente la sicurezza informatica aziendale, poiché gli avversari distribuiscono attivamente file dannosi sotto le sembianze dei software più utilizzati. Secondo Kaspersky Security Network (KSN), in soli otto mesi 9.685 utenti si sono imbattuti in malware e software indesiderati e nascosti dietro le sembianze dei prodotti software più utilizzati dalle piccole e medie imprese. In generale, 4.525 file malevoli o potenzialmente indesiderati sono stati diffusi tramite software per Pmi distribuiti non ufficialmente, compresi quelli piratati.

Alla ricerca di alternative gratuite

Lo studio di Kaspersky ha come obiettivo quello di scoprire quali sono le tattiche di gestione delle criticità che i responsabili aziendali ritengono più efficaci, e come alcune operazioni possano compromettere seriamente la sicurezza informatica di un’azienda. Soluzioni efficaci come la ricerca di fornitori a basso costo, e l’adozione di alternative gratuite al software usato abitualmente, sono le opzioni più apprezzate dagli intervistati, rispettivamente con il 41% e il 32% delle preferenze. Ma il 15% dei responsabili aziendali intervistati sostituirebbe il proprio software con una versione pirata per ridurre i costi.

C’è chi utilizza anche software di cybersecurity piratati

Per quanto riguarda le tipologie di programmi che gli intervistati ritengono di poter sostituire con copie piratate, la maggior parte ha scelto software di project management, marketing e vendite. E il 41% è perfino d’accordo nell’utilizzare un software di cybersecurity piratato.
“La mancanza di risorse è una situazione comune per le piccole e medie imprese, ma l’uso di un software pirata o violato dovrebbe essere assolutamente evitato se un’azienda si preoccupa della sua sicurezza, della sua reputazione e delle sue entrate”, commenta Cesare D’Angelo, General Manager Italia di Kaspersky.

Le alternative ufficiali gratuite sono le opzioni migliori

“Le copie pirata solitamente contengono Trojan e miners, e sono prive delle correzioni o delle patch rilasciate dagli sviluppatori per risolvere le vulnerabilità che potrebbero essere sfruttate dai criminali informatici – aggiunge Cesare D’Angelo -. Le alternative ufficiali gratuite sono opzioni migliori per chi ha bisogno di risparmiare sull’IT”.
È infatti possibile utilizzare soluzioni di sicurezza gratuite. Di solito hanno meno funzioni dei prodotti a pagamento, ma possono comunque essere molto utili. È importante scegliere una soluzione basata sui risultati di test indipendenti e scaricarla direttamente dal sito dello sviluppatore.

Caramelle: un mercato maturo in cerca di nuove identità

Il comparto delle caramelle in Italia conta 25 milioni di consumatori abituali e aziende pluricentenarie che hanno addolcito le giornate di intere generazioni. Le consumano 9 italiani su 10: dalle mentine alle gommose, che si contendono la leadership delle preferite con quelle alle erbe balsamiche, in cima alla classifica dei gusti più apprezzati. E a mangiarle sono soprattutto gli adulti, che 8 volte su 10 le comprano per sé e non per i bambini.
Uno studio Bva Doxa, Unione italiana food accende i riflettori sul rapporto degli italiani adulti con questo prodotto dolciario, un rapporto in evoluzione che l’industria cerca di anticipare con innovazioni e nuove funzioni di consumo, diversificando un’offerta già ricca per gusti e formati.

L’export bilancia il calo del mercato interno

Secondo un’elaborazione Unionfood su dati Istat lo scorso anno la produzione di caramelle si è attestata appena sotto le 90mila tonnellate, -6% rispetto al 2020, per un valore di circa 763 milioni di euro. Un dato bilanciato dalle esportazioni: nel 2021 sono state esportate oltre 19mila tonnellate, con un balzo in avanti del 34% rispetto al 2020, e un valore di 64 milioni di euro. Un trend positivo proseguito nei primi sei mesi 2022, con l’export del 28%, per una quantità esportata di oltre 11,6 mila tonnellate e un valore di quasi 40 milioni di euro. A premiare di più è il mercato tedesco, seguito da Paesi Bassi, Stati Uniti, Belgio e Francia).

Il futuro è senza zucchero e nutraceutico

Il settore delle caramelle conta su circa 7.000 addetti, e ora cerca di intercettare i gusti dei consumatori moderni, che preferiscono quelle senza zucchero (56%) a quelle con lo zucchero (+44%). Un segnale di attenzione ad aspetti salutistici che nei prossimi anni potrebbe accelerare un percorso di sviluppo in questa direzione.
“Il consumo delle caramelle classiche è ormai stabile, parliamo di un mercato maturo che non ha spunti verso l’alto – spiega Luigi Serra, produttore e portavoce del progetto Piacere, caramelle di Unione italiana food -. Nel futuro cambierà la specializzazione della caramella: all’estero sono già diffuse le caramelle nutraceutiche: io penso che questa parte funzionale si accentuerà. E poi c’è il megatrend della ‘sottrazione’: meno ingredienti e più qualità”.

Moderna madeleine che evoca la dolcezza del tempo perduto

Le prospettive di sviluppo, riferisce Askanews, non possono non prescindere dall’attuale congiuntura economica, tra inflazione galoppante e rincari delle materie prime.
“Quella delle caramelle – continua Serra – è una produzione energivora, e gli aumenti del costo del gas mandano in difficoltà le aziende, ma l’aggravante sono i costi delle materie prime derivanti dai cereali, come lo sciroppo di glucosio e lo zucchero i cui costi sono raddoppiati”.
Intanto le caramelle provano a resistere, reinventandosi e conservando un posto nella quotidianità degli italiani, che le scelgono come gesto di cura per sé (45%), o regalandosi un viaggio nel passato, moderna madeleine che evoca la dolcezza del tempo perduto.

Smartphone e vacanze: dove e come gli italiani lo hanno rotto nel 2022 

A differenza degli anni precedenti, le vacanze estive 2022 hanno visto partenze più equamente distribuite, già da fine maggio fino a metà settembre.
Il 94% degli italiani è andato in vacanza, e proprio l’Italia è risultata la destinazione di viaggio preferita per le vacanze estive (74%), mentre chi ha scelto l’estero (26%) ha scelto quasi esclusivamente i Paesi europei. Anche quest’anno il WeFix Lab, il Dipartimento Statistico iFix-iPhone.com, ha stilato la classifica di regioni e nazioni in cui gli italiani hanno rotto più di frequente il proprio smartphone. E tra le mete più ‘disgraziate’, c’è la Toscana, con la città di Firenze in testa, seguita da Trentino Alto Adige, Puglia e Sicilia. All’estero, WeFix rileva una forte concentrazione di ‘incidenti’ in Francia, Grecia, Albania e Croazia. 

I luoghi più pericolosi rimangono quelli “bagnati”

Mare, piscine, laghi (34.9%) sono in testa per le ‘rotture’ degli smartphone, mentre gli stadi (24,5%) sono in seconda posizione, probabilmente anche per la riapertura dei concerti dal vivo. Seguono piazze/strade (15,6%), e montagna (13%). Se i giovanissimi e gli over 65 sono stati i più attenti ai loro dispositivi, è la fascia intermedia la più disattenta. Gli uomini, poi, sono gli utenti più distratti (57,8%), contro il 42,2% di donne che hanno rotto il proprio cellulare. La marca in assoluto più riparata è la Apple (72%), con in testa l’iPhone X, che batte Samsung con una richiesta del 17% di riparazioni per il Galaxy S9. La causa è da ricercarsi probabilmente nel costo medio del ricambio e della manodopera che in questo caso risultano essere più alti. 

Mercoledì è il giorno più nero

Il giorno più nero in assoluto per gli smartphone è il mercoledì, con il 17,73% delle richieste, mentre il lunedì, storicamente il giorno peggiore, durante le vacanze si classifica al terzo posto (16.43%). Il week end invece è il momento con meno ‘incidenti’: sabato e domenica infatti si posizionano agli ultimi posti, con rispettivamente il 9,91% e l’8,32% di richieste.  Le riparazioni più effettuate sono la sostituzione dello schermo (38,54%), e una nuova entrata per la memoria piena (12,9%). Colpa dei social che intasano il telefono con foto e video inviati da amici.

La richiesta di riparazione è cresciuta del 14%,

Un altro elemento riguarda la categoria di clienti ‘nomofobici’, ovvero che soffrono il distacco dallo smartphone. I lombardi in questo caso risultano i più ansiosi, mentre toscani e siciliani sono i più ‘rilassati’.  Ma quanto hanno inciso i rincari scatenati dall’inflazione sulla richiesta di riparazione? Abbastanza, infatti la richiesta di riparazione è cresciuta del 14%. Una buona notizia, non solo in termini di risparmio, poiché riparare uno smartphone costa meno rispetto ad acquistarne uno nuovo, ma anche dal punto di vista “green”. Una maggiore sensibilità ambientale induce le aziende a schiudersi al mondo della riparazione, che insieme ad altri settori favorisce la sostenibilità.

La pasta italiana? Sempre più sostenibile

L’attenzione alla sostenibilità è un tema cruciale dei nostri anni: impensabile che anche le filiere produttive non ne tengano conto, specie in fatto di consumi idrici ed energetici. La conferma che le cose stiano cambiando, in positivo, arriva anche dal settore della pasta, fiore all’occhiello dell’agroalimentare italiano: grazie ad un impatto ambientale minimo, la pasta è amica del pianeta e risponde ogni anno a tendenze di consumo ed esigenze sostenibili con l’avvio di nuovi piani.

Un investimento importante

Dall’agricoltura di precisione agli impianti di trigenerazione alimentati a metano, fino al packaging compostabile, ogni anno i pastai italiani investono in media il 10% del proprio fatturato (circa 560 milioni) in ricerca e sviluppo per rendere la produzione e la pasta sempre più moderna, sicura e sostenibile. E anche un piccolo gesto quotidiano, come preparare un piatto di spaghetti, può fare la differenza. Oggi per gli italiani la nuova cultura del cibo passa dal rispetto per l’ambiente. Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso un’alimentazione più sana e sostenibile, un trend che si è rafforzato durante la pandemia: quasi 9 su 10 dichiarano di prestare attenzione agli aspetti di sostenibilità quando sono al supermercato (Fonte: ricerca Unione Italiana Food). La pasta è amica del pianeta con un impatto ambientale, dalla produzione alla trasformazione fino al consumo, decisamente basso (1 mq globale, vale a dire la misura dell’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate durante la produzione) per una porzione di pasta di 80 grammi e un’impronta ecologica minima, appena 150 grammi di CO2 equivalente.

Dal 2013 consumati 270mila metri cubi di acqua in meno

Le imprese sono sensibili al cambiamento green: per 1 impresa su 2 è fondamentale, se non addirittura necessario, puntare sull’innovazione (Fonte: indagine Unione Italiana Food “L’industria alimentare italiana alla prova del futuro. L’innovazione come strategia per garantire cibo accessibile e sostenibile sulle tavole di domani”). E per quanto riguarda la pasta, con i soli investimenti effettuati nel comparto negli ultimi anni, i consumi idrici hanno subito un calo del 20% circa, i rifiuti recuperati sono circa il 95% del totale e l’emissione di anidride carbonica corrispondente (CO2) è diminuita del 21% circa. Per produrre un chilo di pasta, un pastificio usa non più di tre litri d’acqua. Secondo l’ultimo rapporto di sostenibilità di Unione Italiana Food (2020), nel periodo 2013-2019 nell’industria della pasta sono stati risparmiati 270.000 m3 di acqua (-4%), pari a circa 2 Anfiteatri Flavii (Colosseo), 69.000.000 kg di emissioni co2 (-11%) pari a circa 36.300 vetture e sono 19.500.000 kg i rifiuti recuperati (+33% pari a circa un comune di 39.000 abitanti).