Bard di Google arriva in 180 Paesi, e sfida l’AI di Microsoft

Lo ha annunciato Sundar Pichai, ceo di Google e Alphabet, durante il Google I/O 2023, l’annuale conferenza degli sviluppatori. Bard, lo strumento di Intelligenza artificiale di Google, presto sarà disponibile gratuitamente in 180 Paesi, all’inizio solo in inglese, giapponese e coreano, e successivamente nelle 40 principali lingue del mondo. Del resto, Pichai ha dichiarato di voler “rendere l’Intelligenza artificiale uno strumento utile per tutti”. Di fatto, continua la sua competizione con Microsoft nella sfida dell’AI. Tra le novità, ora gli utenti potranno esportare le risposte ottenute da Bard su Gmail e Google Docs, e proprio come farà Microsoft, anche il chatbot di Google fornirà risposte multimodali, ovvero non risponderà solo con un testo, ma anche con immagini.

Dal chatbot all’editor la rivoluzione è nelle foto 

Il chatbot di Google funziona in due modi: da un lato incorporerà immagini nelle risposte, e dall’altro saranno gli utenti stessi a poter porre a Bard domande con foto. Ma anche Magic Editor, il nuovo editor di Google è alimentato dall’AI, e trasforma le immagini senza strumenti professionali.
Un esempio mostrato al Google I/O 2023 è quello di una foto con una persona davanti a una cascata: Magic Editor permette di spostare il soggetto, cancellare la tracolla di una borsa e rendere il cielo meno nuvoloso. Un altro esempio? Magic Editor è in grado di spostare l’immagine di un bambino seduto su una panchina, generando una ‘nuova’ parte della panchina e i palloncini tenuti in mano dal bambino. Alcuni telefoni Pixel avranno accesso anticipato a Magic Editor entro la fine dell’anno.

PaLM 2, il modello linguistico si aggiorna e diventa più intelligente

Un’altra novità è PaLM 2, il nuovo modello linguistico (LLM) di Google alla base di Bard e di 25 prodotti dell’azienda. PaLM 2 include più di 100 lingue, ed è stato addestrato su 20 linguaggi di programmazione. Non solo è in grado di eseguire traduzioni letterali, ma anche di comprendere e tradurre modi di dire, poesie e indovinelli. L’aggiornamento migliorerà le capacità matematiche, logiche e di ragionamento, nonché di programmazione, di Bard. L’ampio set di dati di PaLM 2 include articoli scientifici e pagine Web contenenti espressioni matematiche. Il ramo sanitario di PaLM 2, Med-PaLM 2, raggiunge risultati all’avanguardia nella competenza medica, e può rispondere a domande sulla medicina a un livello pari a quello di un medico esperto.

Con Live View e Immersive View Maps supera il concetto di navigatore

Ora Maps reinventa il modo di muoversi. Con le funzionalità di ricerca di Live View e Immersive View supera il concetto di navigatore e rende l’esperienza più visiva, riporta Agi.  Immersive View utilizza la computer vision e l’AI per fondere insieme miliardi di Street View e immagini aeree creando il più ricco modello digitale del mondo. Sarà possibile ottenere indicazioni stradali visualizzando in anteprima piste ciclabili, marciapiedi, incroci e parcheggi lungo il percorso.
Un’altra novità riguarda Duet AI for Workspace, che ora integra la potenza dell’AI generativa in tutte le app di Workspace. Ad esempio, l’integrazione di Duet AI in Presentazioni renderà possibile generare facilmente immagini con poche parole di input.

Farsi un selfie non è solo questione di vanità. Lo spiega la scienza

Farsi un selfie non è solo una questione di vanità. I selfie ci piacciono tanto perché catturano il significato del momento e ci riconnettono al passato. Lo dimostra una revisione di sei studi condotti su un totale di oltre 2.100 persone, pubblicata sulla rivista Social Psychological and Personality Science da un gruppo internazionale di esperti guidato da Zachary Niese dell’Università di Tubinga.
Dalla ricerca emerge infatti che se le foto che sembrano scattate da terze persone ci aiutano a cogliere meglio il significato di un particolare momento della nostra vita, e a richiamarlo alla mente quando riguardiamo l’immagine, quelle fatte dalla nostra prospettiva personale ci aiutano a ricordare le sensazioni fisiche provate durante un evento.

Scattare e postare fotografie ormai fa parte della vita quotidiana

“Scattare e postare fotografie fa parte della vita quotidiana – afferma Niese -. Sebbene talvolta queste pratiche vengano derise nella cultura popolare, le fotografie personali possono aiutare le persone a riconnettersi con le proprie esperienze passate e costruire la narrazione di loro stesse”.
Quindi, quando postiamo su Facebook o Instagram non lo facciamo esclusivamente per vanità o per i nostri follower, ma anche per noi stessi. Anche uno scatto al ristorante può contribuire a costruire il senso che abbiamo della nostra persona, e la prospettiva da cui lo facciamo ha grande rilevanza.
Ad esempio, un selfie che ci ritrae mentre mangiamo con il partner servirà a raccontare e ricordare un momento di condivisione e convivialità, riporta Ansa.

Evento o esperienza fisica, l’importante è documentare

Secondo i ricercatori, chi sceglie di raffigurarsi nella scena scattando selfie lo fa per catturare il significato più profondo dell’evento. E quando si usa la fotografia in prima persona, scattando una foto della scena dal proprio punto di vista, è perché si vuole documentare un’esperienza fisica.
In uno degli esperimenti è stato chiesto ai partecipanti di valutare uno scenario in cui avrebbero voluto scattare una foto, come, ad esempio, una giornata in spiaggia con un caro amico, e valutare l’importanza e il significato dell’esperienza. E secondo i ricercatori, più i partecipanti hanno valutato il significato dell’evento per loro, più è probabile che avrebbero scattato una foto con sé stessi all’interno.

A volte lo scopo dello scatto non corrisponde alle aspettative 

In un altro esperimento, i partecipanti hanno esaminato le foto che hanno pubblicato su Instagram. In questo caso, si è scoperto che alle persone non piaceva molto la loro foto se c’era una discrepanza tra la prospettiva della foto e il loro obiettivo nello scattare la foto. Inoltre, se i partecipanti affermavano che il loro obiettivo era catturare il significato del momento, la foto gli piaceva di più se veniva scattata in terza persona, ovvero, con sé stessi all’interno dell’immagine.

Disuguaglianza di genere: il gap è anche digitale

Lo scorso anno 2,9 miliardi di persone non hanno avuto accesso a internet, e ancora oggi milioni di utenti possono avvalersi solo di servizi di connessione costosi o scadenti. In pratica, a quanto emerge dal Global Connectivity Report 2022 del World Economic Forum, in quest’epoca di iperconnessione un terzo della popolazione mondiale non ha ancora accesso a internet. Si tratta di una disuguaglianza che ha origini socio-demografiche, tanto che nei paesi a basso reddito l’utilizzo di internet è pari al 22%, contro il 91% dei paesi con alto reddito. Ma è anche una questione di genere, poiché la percentuale cambia anche in relazione al sesso: il 62% degli uomini utilizza internet, contro il 57% delle donne. Insomma, oggi il Gender Gap è anche Digital.

In Italia il Digital gender Gap inizia dal lavoro

Secondo il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum l’Italia si trova in fondo alla classifica europea per il tasso di partecipazione femminile al mondo del lavoro, l’equità retributiva e il reddito da lavoro, nonché per la presenza di donne tra alti dirigenti e professioni ad alta specializzazione. Le donne risultano essere sfavorite anche nelle carriere digitali, contesto in cui ricoprono meno posizioni degli uomini e subiscono un gender pay gap del 21%.
Inoltre, una donna su due che lavora nel settore tecnologico dichiara di aver subito molestie sul posto di lavoro.

Scarso accesso femminile agli strumenti tecnologici

L’origine di questa povertà digitale è da imputare a un’immagine stereotipata che vede la donna distante da un percorso di formazione orientato alle nuove tecnologie. Le donne più colpite sono quelle che vivono in situazioni di fragilità, presentano una bassa alfabetizzazione e un basso reddito. Fattori che rendono più difficile l’accesso agli strumenti tecnologici, scoraggiando l’empowerment femminile e l’acquisizione di competenze digitali. Le statistiche affermano che le donne hanno una probabilità del 18% in meno, rispetto agli uomini, di possedere uno smartphone, e ancora inferiore di utilizzare internet.

Non c’è innovazione senza inclusione e parità

In una società competitiva e globalizzata come la nostra, il digitale è una risorsa imprescindibile per lo sviluppo e l’innovazione. Il divario ICT acuisce significativamente le disuguaglianze di genere, impattando sulle opportunità professionali e la progressione di carriera delle donne.
Il primo passo, necessario e decisivo, per raggiungere la parità di genere è colmare il digital gap, così da garantire l’inclusione e le pari opportunità. C’è ancora tanta strada da percorrere, ma la rivoluzione socio-culturale è già in atto. Per appianare le disparità è importante che il percorso di innovazione tecnologica tenga conto dei principi di inclusione e parità. È necessario che le donne diventino protagoniste attive e proattive di questo cambiamento, entrando nei processi di progettazione, sviluppo e diffusione della tecnologia.

Lavoro: le priorità sono flessibilità, benessere e smart working

Cosa chiedono i lavoratori italiani? Secondo un’indagine di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, i classici benefit materiali, come ad esempio auto aziendale, smartphone o buoni pasto, non sono più la priorità. Ora, a fare davvero la differenza sono flessibilità oraria, attenzione al benessere psico-fisico e smart working.
“Non dobbiamo cadere nell’errore – precisa Marta Arcoria, Hr manager di Hunters Group – di pensare che parlare di felicità al lavoro sia fuori luogo. Tralasciando i vari job title evocativi o quelle che potremmo definire mode passeggere, il concetto di felicità, inteso, ovviamente, in senso ampio, è molto importante per tutti i lavoratori, indipendentemente dal ruolo, dalla tipologia di azienda o dagli anni di esperienza”.

Cosa desiderano i candidati italiani?

Dal sondaggio condotto tra oltre 1.500 candidati, emerge un quadro molto chiaro. Il 47% dei lavoratori italiani preferisce la flessibilità oraria e lo smart working, per avere così la possibilità di poter bilanciare, nel modo migliore possibile, vita professionale e vita privata. Il 42% dei candidati, invece, preferisce un ambiente di lavoro sereno e la possibilità di crescita professionale. Si tratta di elementi, che in un modo o nell’altro, possono contribuire a migliorare il benessere dei lavoratori, e di conseguenza, a ridurre i livelli di stress. Sembrerebbero meno importanti, invece, i benefit materiali, scelti soltanto dall’11% dei candidati.

Stipendio e benefit materiali non sono più sufficienti

“Gli ultimi tre anni – aggiunge Marta Arcoria – hanno ridisegnato completamente i modelli organizzativi e modificato radicalmente i desideri dei candidati. Abbiamo visto come stipendio e benefit materiali non possano più essere sufficienti per trattenere un talento o per portarlo a bordo, ma dal nostro sondaggio appare evidente come il quadro sia, ancora una volta, cambiato: oggi sono indispensabili flessibilità oraria, attenzione al benessere psico-fisico e smart working perché, davvero, stare bene anche in ufficio è fondamentale”. Sono i lavoratori più giovani a non voler assolutamente rinunciare allo smart working e alla flessibilità oraria, mentre chi ha maturato più esperienza punta soprattutto a benefit materiali, come l’auto aziendale e premi immediati, come i buoni shopping.

“Sulla felicità nessuno è più disposto a negoziare”

“A livello generale – continua Arcoria – i benefit rappresentano, in maniera sempre più marcata, una forte leva di motivazione dei dipendenti attuali e potenziali. Le aziende devono necessariamente tenere in considerazione il valore che questi fattori possono avere per le persone. Non dimentichiamo, infatti, che non è raro che un candidato prediliga, a parità di trattamento economico, un’azienda attenta al benessere dei propri collaboratori e che abbia valori in cui sia più facile rispecchiarsi. E il benessere si misura anche attraverso elementi che in molti casi vengono considerati secondari. Ma sulla felicità nessuno è più disposto a negoziare”.

La (s)fiducia nelle banche in Italia nel 2023

Dopo la pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina, il caro energia, l’inflazione, la crescita del costo del denaro e la lievitazione dei mutui, ora arriva l’ennesima crisi che coinvolge le banche. Secondo una rilevazione Ipsos, attualmente la fiducia nelle banche si ferma poco sotto il 30%, con il 61% dell’opinione pubblica italiana che mostra netti segni di dissenso. Bassa è anche la valutazione della Banca Centrale Europea del ‘dopo Mario Draghi’, con voti positivi espressi da appena un terzo dell’opinione pubblica. Percentuali analoghe se le aggiudica anche la Borsa, con un quadro di fiducia che si ferma appena sopra al 30%.

La nuova crisi riapre vecchie ferite

I timori di un’altra crisi bancaria sono riemersi nelle scorse settimane dopo le notizie del crollo della Silicon Valley Bank, il secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti, e la vicenda relativa all’istituto di credito Credit Suisse, acquisita poi da UBS, la più grande Banca Svizzera. Ma la disillusione nelle banche, dopo il grande crollo degli anni 2007-2008, non si è mai ripresa fino in fondo. La nuova crisi riapre vecchie ferite, anche perché l’opinione pubblica italiana vive da anni un deficit di fiducia complessivo: oltre due terzi dei cittadini affermano di non fidarsi né delle imprese né delle banche, ritenendo che entrambe siano troppo disposte a scaricare costi e incapacità sui consumatori.

Più deluse le donne e i ceti popolari 

Il dato di delusione, in crescita nel corso degli ultimi anni e passato dal 65% di fine 2020 al 69% di oggi, è principalmente evidente tra le donne (74%), i ceti popolari (80%) e i residenti nelle isole e nel centro Italia (75%). Accanto a questo sentimento di sfiducia si associa la convinzione che i soggetti dotati di maggiori risorse economiche siano completamente scollegati dal resto della realtà sociale italiana. Per il 75% dell’opinione pubblica, infatti, i cosiddetti ‘esperti’ non comprendono le esigenze delle persone comuni. Un sentimento di distacco che prolifera soprattutto tra i ceti popolari (82%) e le donne (78%).

Gli istituti di credito non dovrebbero pensare solo a sé stessi

La delusione verso il mondo bancario è accentuata anche dal fatto che gli italiani vorrebbero trovare nella banca un soggetto su cui contare. Quasi il 40% vorrebbe che gli istituti di credito fossero maggiormente impegnati a generare tranquillità a chi affida loro i propri risparmi. Un sesto del Paese, inoltre, ritiene che le banche debbano essere parte integrante della comunità ed essere impegnate nella crescita dei contesti locali e nel rafforzamento delle microeconomie. Quasi un quarto dell’opinione pubblica poi ritiene che gli istituti di credito non debbano pensare solo a sé stessi, ma essere protagonisti della crescita della collettività, sostenendo famiglie e imprese, e creando opportunità per i giovani e le giovani famiglie.

Lavoro e felicità: un binomio possibile, anzi necessario

La relazione tra lavoro e felicità è necessaria? Secondo l’80% degli italiani intervistati da Glickon, sì. E per la quasi totalità (97%) essere felici rende anche più produttivi. Inoltre, più del 66% si dichiara contento della posizione che occupa, e per il 34% quella posizione rappresenta effettivamente ciò che sognava di fare, mentre il 37% si è adattato, ma si ritiene comunque soddisfatto e sereno. Considerando che nell’arco della vita si trascorrono oltre 90 mila ore lavorando, l’Osservatorio Glickon ha condotto una survey per scoprire se durante tutto questo tempo passato a lavorare si è davvero felici. 

Ma c’è chi ha vissuto felicemente le proprie dimissioni

I dati emersi dalla survey sono rassicuranti, soprattutto se rapportati allo scenario del mercato del lavoro, coinvolto da grandi fenomeni sociali, culturali ed economici come Great Resignation, Quite Quitting, Hope Fatigue.  Non c’è quindi da stupirsi se il 46% afferma di essere disposto a cambiare il proprio lavoro in nome della felicità, anche se dovesse rinunciare a qualcosa in termini economici o di benefit. Trova così spiegazione la risposta del 65% che ha ammesso di aver vissuto ‘con felicità’ le proprie dimissioni o il proprio licenziamento. Ma nonostante il detto ‘i soldi non fanno la felicità’ sia sempre valido, lo stipendio resta un parametro di felicità importante per il 62% degli intervistati.

Cosa ci rende davvero felici nel nostro lavoro? 

Ma cosa ci rende davvero felici del nostro lavoro? In cima a tutto, le relazioni con i colleghi e l’ambiente lavorativo (30%), seguite dalle attività specifiche di cui ci si occupa (28%), e da flessibilità, benefit e stipendio (23%), ma anche la valorizzazione del talento e l’attenzione verso il proprio percorso di crescita (19%). Un ambito, questo, che denota però un ampio margine di miglioramento, soprattutto con l’odierna corsa ai talenti. Le aziende, quindi, dovranno essere sempre più attente non solo ad acquisire, ma anche a saper trattenere i lavoratori.

Per GenZ e Millenials le relazioni sono più importanti

Per la GenerazioneZ e i Millenials la qualità delle relazioni e la qualità del tempo è più importante (16%) rispetto alla GenerazioneX e ai Boomer (12%), così come la trasparenza e l’etica della realtà per cui si lavora (15% vs 12%), mentre per gli over 40 contano il benessere psico-fisico (25% vs 20%), la valorizzazione economica e i benefit (19% vs 17%).
Quasi cross-generazionali,  riporta Ansa, sono invece crescita e sviluppo personale (24% per under 40 vs 22% over 40), e condivisione dei valori del brand o società per cui si lavora (6%). 
‘Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita’ resta il mantra per il 67% degli intervistati. Ma alla domanda ‘Riesci ad avere un buon work-life-balance tanto da renderti felice e serena/o?’ il panel si divide quasi a metà, con una leggera maggioranza di ‘no’ (51%).

Trasformazione digitale: conoscere poco la rete rallenta l’innovazione 

Oggi la pressione per la digitalizzazione non è mai stata così alta, ma il 73% dei dirigenti a livello internazionale è preoccupato per la capacità della propria organizzazione di tenere il passo con i requisiti tecnologici e digitali più recenti. Un leader aziendale su quattro (25%) ammette infatti di avere solo una conoscenza funzionale o limitata della rete aziendale, e l’81% degli stessi dirigenti afferma che la propria organizzazione avrebbe bisogno di alti livelli di innovazione per avere successo nel corso del 2023. Sono alcuni risultati del sondaggio pubblicato da Aruba, società di Hewlett Packard Enterprise, condotto su 200 leader aziendali internazionali per valutarne il grado di consapevolezza ‘digitale’.

La digitalizzazione è essenziale, ma non tutti i dirigenti la comprendono

I manager d’azienda concordano sul fatto che la tecnologia e la digitalizzazione avanzata ora siano essenziali per consentire ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro (71%). Tuttavia, nonostante il ruolo di collegamento svolto dalla rete tra i dipendenti e la tecnologia di cui hanno bisogno, solo il 61% afferma di comprendere appieno la relazione tra rete e produttività dei dipendenti. Allo stesso modo, il 53% ha dichiarato di non capire appieno come la rete possa aiutare a guidare l’innovazione, nonostante il 50% ritenga che l’accesso ai dati sia fondamentale per sbloccare nuovi flussi di entrate nei prossimi 12 mesi.

Le contraddizioni delle strategie di investimento

Le potenziali conseguenze di queste contraddizioni emergono considerando le strategie di investimento delle organizzazioni per l’anno in corso. Mentre il 50% dei leader aziendali afferma di voler aumentare nel 2023 la spesa per le iniziative digitali, solo il 25% afferma che effettuerà un investimento corrispondente nella propria infrastruttura di rete. A fronte di una quota significativa di intervistati (59%) che afferma che i propri dipendenti hanno sperimentato problemi di connettività sul posto di lavoro, solo il 29% ritiene che la propria organizzazione sia in grado di garantire un connettività continua, e solo il 21% è d’accordo sul fatto che la propria organizzazione abbia la flessibilità necessaria.

Come raggiungere gli obiettivi di business?

“Le organizzazioni di tutto il mondo hanno grandi progetti per le loro trasformazioni digitali quest’anno – afferma Larry Lunetta, Vice President Portfolio Solutions Marketing di Aruba -. Vogliono aumentare la produttività dei dipendenti attraverso il lavoro ibrido, fornire una migliore analisi dei dati per sviluppare nuovi flussi di entrate, generare maggiore efficienza operativa per risparmiare sui costi, ridurre il consumo di energia per diventare più sostenibili e molto altro ancora. Le aziende sanno che devono continuare a investire nella tecnologia per rendere tutto ciò possibile. Ma per raggiungere gli obiettivi di business hanno bisogno del supporto di una rete innovativa, agile e ottimizzata. Solo così le probabilità di una trasformazione digitale di successo aumenteranno”.

Anche portare a riparare i device comporta rischi per la privacy

Portare il proprio device a riparare comporta rischi per la privacy? Secondo un’indagine condotta dall’Università di Guelph (Canada) la risposta è sì. Spesso infatti i tecnici guardano i file e i dati personali dei clienti, e a volte li copiano su dispositivi esterni. Si tratta di violazioni avvenute con la stessa frequenza sia nei negozi locali sia nelle grandi catene. Nella maggior parte dei casi, la violazione viene compiuta per cercare video e foto di contenuti intimi, specialmente nel caso in cui l’utente sia donna. Le violazioni della privacy rilevate dalla ricerca riguardano quindi i dati privati, che quasi mai hanno a che fare con il problema del pc. Ma poiché perpetrate da tecnici specializzati spesso è anche difficile rilevare segnali di queste attività criminali. 

Fare un backup e rimuovere i file più critici

Per proteggere i dati personali sul computer Panda Security consiglia innanzitutto di verificare in rete la reputazione del tecnico, valutando opinioni e recensioni del negozio. Se è ancora possibile accedere ai dati, e utilizzare il computer prima di portarlo a riparare, fare un backup e rimuovere i file più critici. Rimuovere anche i dispositivi di archiviazione esterna, e utilizzare un software di crittografia per protegge i file Nei casi più estremi, dopo aver fatto il backup, utilizzare un software di cancellazione sicura per eliminare tutti i dati personali dal computer e le tracce delle ultime attività online. E non condividere le password se non è necessario a effettuare la riparazione.

I trend della privacy per il 2023

Tutelare la privacy della vita digitale degli utenti inizia a rappresentare un obiettivo concreto per i governi di tutto il mondo. Nel 2023 entreranno in vigore nuove leggi nazionali e internazionali a tutela della privacy del consumatore e relative al trattamento dei dati personali, come il GDPR europeo o il CCSA californiano. Inoltre, Google ha annunciato che ad aprile 2023 lancerà Privacy Sandbox per Android, un insieme di tecnologie proprietarie per sostituire i cookie (che verranno ritirati nel 2024) e raccogliere dati basati sui modelli di previsione dell’AI. Ma è anche possibile prevedere che nel 2023 le compagnie di assicurazioni inizieranno a offrire soluzioni pensate per tutelare i singoli utenti online, e non solo le aziende.

Le novità italiane in tema cybersecurity

Sono due le novità nel nostro paese: lo sviluppo delle certificazioni di cybersecurity e gli aiuti per la digitalizzazione provenienti dal PNRR. Nel 2023 le aziende italiane avranno quindi più strumenti per proteggere i dati personali dei clienti nel rispetto del GDPR e delle normative nazionali. Ma anche il settore pubblico dovrà difendere meglio i dati dei cittadini, altrimenti le conseguenze potrebbero essere catastrofiche L’aumento delle interconnessioni tra sistemi informatici personali, reti pubbliche, dispositivi IoT e identità digitali comporta nuovi rischi per le persone. Per questo la PA dovrà intensificare i propri sforzi per proteggere i dati personali, e garantire la continuità dei servizi in caso di cyberattacco.

Mettere un cagnolino nella foto profilo aiuta a trovare l’amore

I profili social in cui compaiono immagini di cani sono più interessanti? Sembra di sì. Forse perché generalmente si tende a pensare che i proprietari di animali domestici siano più affidabili ed empatici, poiché dimostrano di avere capacità di prendersi cura di un altro essere vivente. Di fatto, gli utenti single che si iscrivono ai portali di appuntamenti sono associati a un numero di possibilità più elevato di ricevere un match se nella loro foto profilo è presente un cagnolino. È quanto ha scoperto una ricerca commissionata da The Guide Dogs for the Blind Association, condotta dagli scienziati del britannico Kennel Club, il club cinofilo più antico del mondo.

Chi possiede animali domestici è più predisposto a instaurare una relazione stabile?

Il team di scienziati, guidato da Paul Martin, ha eseguito un sondaggio su mille adulti britannici iscritti a una applicazione o a un sito di incontri. E stando a quanto è emerso dall’indagine, circa i due terzi degli intervistati hanno riferito di trovare più interessanti i profili in cui comparivano immagini di cani. Il 60% del gruppo di intervistati riteneva poi che possedere animali domestici fosse in generale un tratto associato a una maggiore predisposizione a instaurare una relazione stabile.

I proprietari dei pet non vogliono impegnarsi con chi non ama i cani 

I proprietari di animali domestici venivano inoltre considerati più socievoli, attivi ed empatici. Il 50% degli intervistati ha infatti affermato che avrebbe scattato fotografie con un cane di amici o familiari per incrementare le possibilità di avviare una conversazione attraverso l’applicazione o il sito di incontri. Inoltre, il 59% dei proprietari di cani ha riferito di non avere intenzione di impegnarsi in una relazione con una persona non amante dei cani.

Avere un cane fornisce ulteriori possibilità di interagire nelle chat

“L’aspetto interessante – ha commentato Paul Martin – riguarda le caratteristiche in generale associate ai nostri amici a quattro zampe, e che vengono poi proiettate verso i proprietari di animali domestici. Empatia, pazienza e affidabilità sono tutti tratti desiderabili anche per un potenziale partner. Avere un cane potrebbe fornire ulteriori possibilità per interagire nelle chat e nei siti di incontri”.
Ma non è tutto, riporta AGI. “Avere un cane – ha aggiunto Helen Fisher, ricercatrice senior presso il Kinsey Institute in Indiana – rivela molti aspetti della personalità di qualcuno. Generalmente si tende a pensare che i proprietari di animali domestici siano più affidabili ed empatici, vista la capacità di prendersi cura di un altro essere vivente”.

Banche e assicurazioni italiane le più virtuose nella digitalizzazione delle vendite

Le aziende del comparto finanziario italiano possiedono un livello di integrazione tecnologica elevato. L’80% delle banche e delle assicurazioni è in grado di riconoscere i propri clienti su tutti i punti di contatto, e il 71% ha raggiunto la cosiddetta vista unica sul cliente (Single Customer View). Un risultato molto virtuoso, se paragonato alla media delle aziende italiane (18%). Inoltre, il 74% di banche e assicurazioni ha instaurato con i propri clienti una relazione continuativa nel tempo, rispetto a una media nazionale pari al 25%, e risultano anche molto mature per quanto riguarda l’integrazione tra canali fisici e online. Sono alcuni risultati del rapporto realizzato dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano in collaborazione con Minsait.

Una relazione con i clienti evoluta

Nel settore Banking i principali touchpoint utilizzati nella relazione aziende/clienti sono sito web proprietario (97%), email (94%), contact center (92%), filiali proprietarie e consulenti finanziari (entrambi 92%), mentre nel settore Insurance i principali canali sono email (100%), agenti e filiali proprietarie (98%), consulenti assicurativi (98%), contact center (88%), mobile app proprietarie (88%) e agenti monomandatari (85%). Il settore bancario e assicurativo, inoltre, è il più evoluto dal punto di vista tecnologico, con un’adozione delle singole tecnologie al di sopra della media: l’81% ha un Data Lake, l’80% una Customer Data Platform e l’86% piattaforme di Marketing Automation).

Maggiore integrazione dei canali

Quasi tutte le aziende, poi, possiedono un’infrastruttura in grado di integrare completamente le informazioni sui clienti: il 40% è in grado di farlo in maniera evoluta e il 52% attraverso sistemi integrati. Per quanto riguarda i processi di vendita, i modelli omnicanale più diffusi sono la possibilità di acquistare un servizio offline e ricevere la relativa documentazione online (88%), presenza nel punto fisico di personale dedicato all’assistenza clienti cross-canale (78%), e possibilità di prenotare un servizio online e di usufruirne offline (72%). Per orientarsi verso una maggiore integrazione dei canali, il 42% ha già una funzione aziendale dedicata alla gestione integrata dei diversi touchpoint, e il 26% ha introdotto un responsabile cross-funzionale con un team ad hoc per il coordinamento dei diversi canali.

Un settore attento alla sicurezza 

Quanto all’attenzione alla sicurezza, il 55% delle aziende del settore è dotata di sistemi basati su un doppio fattore di autenticazione, e sono più propense a sperimentare modalità di autenticazione innovative, come fattori biometrici (9% contro 1% campione complessivo), scansione di QR code (5% vs 1%), generazione di OTP in app (31% vs 4%). Anche per quanto riguarda l’identificazione di possibili vulnerabilità di sicurezza nelle applicazioni e infrastrutture in Cloud, il settore appare molto attento. Infatti, la totalità delle aziende svolge attività di security assessment periodiche. In ambito sicurezza e protezione dei dati, le soluzioni più diffuse tra banche e assicurazioni sono quelle afferenti al backup e recovery (95% vs 82%), soluzioni di data loss prevention (81%), e soluzioni di gestione delle identità e accessi del personale (81% vs 27%).